T. Winstel – Benedetto XVI, «Sono stato un buon curato?»

T. Winstel – Benedetto XVI, «Sono stato un buon curato?»

Sui passi del vicario Ratzinger

Joseph Ratzinger ha trascorso poco meno di un anno come vicario in una parrocchia di Monaco. È stato il suo unico incarico nella pastorale. Settant’anni dopo il Papa emerito è ritornato a München-Bogenhausen in un colloquio epistolare.

Ha solo 24 anni e da poche settimane ha concluso gli studi di teologia. Insieme a suo fratello maggiore Georg ha ricevuto a Monaco l’ordinazione sacerdotale. Di origini familiari semplici, ha fama di essere straordinariamente intelligente e colto, nonostante appaia timido e insicuro a chi lo accosta. L’estate del 1951 sta volgendo al termine ed è il momento di iniziare il ministero di vicario nella parrocchia Heilig Blut (Preziosissimo Sangue) a Bogenhausen, un quartiere medio-borghese nella parte orientale di Monaco.

Perché Joseph Ratzinger desidera diventare parroco? Quali sono le sue speranze? Quali i suoi timori? Non può ancora sapere che un giorno sarà nominato Papa e che, ancora in vita, entrerà nella storia come uno dei più significativi e al contempo più discussi pensatori del suo tempo e come secondo Papa dimessosi volontariamente dal suo incarico. La sua prospettiva, in quell’estate di settanta anni fa, è la vita di un sacerdote che deve ancora imparare a conoscere il modo con il quale un prete può entrare in contatto con i suoi fedeli.

Oggi, al tempo della pandemia da Covid, non è possibile recarsi in Vaticano per un colloquio con l’anziano Papa emerito. Tuttavia egli ha accettato di ritornare ancora una volta interiormente sul cammino che il giovane Joseph Ratzinger percorse dal settembre 1951 all’inizio dell’estate del 1952. Ha risposto per iscritto alle domande che gli sono state inviate. In questo modo è nato un particolare tipo di colloquio che dimostra come egli si senta a suo agio nella forma scritta, tanto da risultare quasi più autentico che nel parlato. Resta un uomo della penna, non dei grandi gesti o della parola spontanea.

Iniziamo la passeggiata interiore domandando come il vicario Ratzinger ha vissuto il passaggio dalla pura teoria alla concretezza della fede o anche dell’incredulità quotidiane. Come è stato per il giovane sacerdote trovarsi di fronte ai dubbi di fede della gente? A Bogenhausen ha trovato un altro tipo di religiosità, un altro tipo di pietà e di timor di Dio rispetto a quelli conosciuti nella sua infanzia ad Aschau am Inn?

Ovviamente mi sono trovato di fronte ai dubbi di fede delle persone e certamente il tipo di pietà che ho incontrato nella parrocchia Heilig Blut era diversa da quella della comunità di campagna di Aschau. Il modo di vivere la fede che ho trovato a Bogenhausen era invece molto simile a quello conosciuto nella comunità di liceali cui appartenni – prima a Traunstein e poi a Monaco. Ma, cosa più importante, ciascuno, come credente, è una persona che si interroga, che deve sempre ritrovare la realtà della fede dietro e contro le realtà del quotidiano che lo tormentano. Per questa ragione il pensiero di una «fuga nella teoria pura» mi appare totalmente irrealistica. Una teoria che costituisse una sorta di riserva naturale protetta, separata dalla vita quotidiana della fede e dalle sue esigenze, sarebbe una rinuncia alle fede stessa. La teoria deve svilupparsi nella e dalla fede e non stare accanto ad essa.

scrive Benedetto XVI nel nostro dialogo epistolare.

 

Peraltro Ratzinger non aveva adempiuto le richieste formali per diventare vicario. Come si può leggere nella biografia di Peter Seewald Benedetto XVI. Una vita, egli non aveva partecipato al cosiddetto «concorso per parroci», che era obbligatorio per diventare parroco e costituiva una sorta di candidatura per una parrocchia. Si trattava di un modo di segnalare che non avrebbe voluto essere assegnato a una parrocchia?

Non si poteva scegliere, se e quando fare un concorso da parroco. Era consuetudine che nei primi tre anni dopo l’ordinazione sacerdotale, verso la fine dell’estate, si tenevano degli esercizi spirituali, ai quali ovviamente ho sempre partecipato anch’io. Solo nell’anno successivo si poteva partecipare al concorso per parroci. A quel punto però mi trovavo già fra i docenti e non sembrava sensato essere al contempo esaminatore ed esaminando.

Oggi non si parla più di «concorso per parroci». Nell’arcidiocesi di Monaco e Frisinga le norme per accedere a un servizio pastorale esigono il «secondo esame di abilitazione», che contempla tra le altre cose una riflessione scritta su un problema di teologia pastorale. Quale tema avrebbe scelto Joseph Ratzinger, se l’ordinamento d’esame di allora avesse richiesto questo lavoro?

Avrei scelto un tema pratico, per esempio quello sulla preparazione alla prima Comunione. Per quanto riguarda gli Esercizi che si svolsero a Fürstenried, dove avevo trascorso due anni del corso di teologia, ci ripenso molto volentieri. Il primo anno fu un religioso viennese a tenerci quegli Esercizi, e furono di livello molto alto, spiritualmente e umanamente. Il secondo anno fu il padre Hugo Rahner, il fratello di Karl Rahner, a tenerceli. Anche i suoi esercizi furono di alto livello, ma avevano qualcosa di opprimente – forse era il Parkinson incipiente che intristiva il suo carattere. Il terzo anno gli esercizi furono tenuti da un gesuita della chiesa san Michele a Monaco: furono meno impegnativi, ma lieti e incoraggianti. Ci raccontò tanti aneddoti divertenti, per esempio quello che, quando nella preparazione delle omelie non gli veniva in mente niente, si metteva in testa il cappello del padre Mayer e subito otteneva l’ispirazione desiderata.

Prima di iniziare il suo servizio a Bogenhausen, Joseph Ratzinger fu mandato in sostituzione per qualche settimana a Moosach, a nord di Monaco, dove dovette assumersi tutti gli incarichi. Era una grandissima sfida per il prete novello, oggi si parlerebbe probabilmente di un «sovraccarico» per un giovane sacerdote. Non si trattò, detto in parole povere, di troppo lavoro? … (segue)

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