16 luglio
Santo Stefano Harding, terzo Abate di Citeaux, fondatore dell’Ordine cistercense
Manrique, l’annalista dei cisterciensi delineò un’impegnativa analogia tra i primi tre padri dell’Ordine e le tre persone della SS. Trinità (Manrique vol 1, p. 6). San Roberto era la fonte e il padre dell’ideale cisterciense; Sant’ Alberico soffrì perché esso potesse vivere; Santo Stefano possedette l’energia e la carità e, certo, il genio consumato necessario per mettere questo ideale in pratica nella fondazione di uno dei grandi ordini contemplativi nella chiesa. Quest’opera di diffusione era più che corrispondente in una vaga analogia all’opera della Spirito Santo. Era la reale opera dello Spirito di dio in e attraverso Stefano. Non è certamente un’invenzione dire che lo Spirito d’amore viveva e operava nell’anima di questo grande santo con una speciale chiarezza e intensità. Abbiamo diversi documenti di sua mano estremamente importanti che esprimono il suo genio, ogni linea dei quali respira uno spirito di carità apostolica e contemplativa che ricorda quella della chiesa primitiva con la sua sottolineatura del concetto base dell’unità mistica in Cristo. Non che gli scritti di Stefano siano quelli di un mistico speculativo come san Bernardo, lungi da questo. Erano tutti pratici, ma infine l’amore è pratico, e il misticismo non è nient’altro che amore. La spiritualità di santo Stefano allora è il misticismo dell’amore in azione, amore che sacrifica se stesso per gli altri (invece di parlare o magnificare poeticamente il sacrificio) amore che opera per condurre gli altri in unità, e soprattutto amore che rompe il silenzio solo per parlare di fatti, non per parlare di se stesso, dell’Amore in astratto con la A maiuscola. Per questo S. Stefano quando prende la penna in mano scrive della Regola e di come osservarla alla lettera e nello spirito. Per lui amare Cristo significa fare la volontà di Cristo, e la volontà di Cristo per dei benedettini contemplativi è la Regola di san Benedetto. La volontà di Dio per S. Stefano e i suoi compagni del XII secolo era il ristabilire una vita integralmente monastica nella chiesa per mezzo di una stretta osservanza della Regola di san Benedetto. I Cistercensi non erano soli. Lo Spirito di Dio era all’opera in quell’età con una speciale intensità nell’XI e XII secolo, per accendere forti fiamme di amore contemplativo e preghiera e penitenza. I Camaldolesi, i Vallombrosani, i Certosini, gli ordini di GrandMont e le Congregazioni di Tiron e Savigny stavano tutte per risorgere in quei giorni insieme ai cisterciensi. Tutti loro avevano ideali di grande altezza e purezza; nessun o di loro avrebbe raggiunto una simile ampiezza di diffusione, e nessuno avrebbe avuto influenza su tante anime, e nessuno in verità avrebbe avuto un effetto così potente sul corso della storia cristiana e anche politica, come i cistercensi. Tutto questo era, naturalmente, ampiamente dovuto alla magnetica influenza di san Bernardo di Clairvaux. Ma nella misura in cui san Bernardo era un propagatore dell’ordine e un fondatore di monasteri cistercensi, egli stava solo costruendo sulle solide fondamenta gettate dal santo formato e addestrato per la vita cistercense: Stefano Harding, il terzo abate di Citeaux.
Santo Stefano era, si dice, figlio di genitori nobili, nell’Inghilterra del sud. Sia vero o no sappiamo che d a fanciulli venne per esservi educato al priorato di Scherborne in Dorset. Sembra sia nato circa dieci anni prima della conquista normanna (cioè verso circa il 1056) e si dice che lasciò l’Inghilterra dopo un’insurrezione contro i conquistatori. Passò in Scozia, o forse in Irlanda, per continuare gli studi.
Fr Dalgairns nella sua Vita inglese del santo, deduce che santo Stefano fosse già disgustato dalla vita benedettina come l’aveva vista a Scherborne e avesse abbandonato il pensiero della sua vocazione. In goni caso lo troviamo poi a frequentare la scuola di Parigi e lì, secondo Guglielmo di Malmesbury, ricevette definitivamente una chiamata a consacrarsi in qualche modo più vicino e più perfettamente a Dio (G di Malmesbury, De Gestis Regum Anglorum, PL 179, 1287) “Divini amoris stimulos accepit) (PL 185, 1257-70) (Ricevette lo sprone dell’amore divino).
La vocazione non era chiara o ben definita: era giusto un’urgenza, un dolore interiore persistente, un tendere a qualcosa che non poteva del tutto definire. Tutto sommato poteva essere sintetizzata come una forte consapevolezza di non essere nel posto che Dio gli aveva destinato e lasciando Parigi cominciò a visitare i santuari di vari santi nella terra di Champagne e Burgundia, e là fece amicizia con un altro pio viaggiatore come lui. I due decisero di andare insieme in pellegrinaggio a Roma. S. Stefano e il suo amico Pietro, in seguito anche lui venerato come santo sotto il nome di S. Pron (una corruzione di Pietro) intrapresero questo difficile viaggio mantenendo il silenzio per tutto il tempo tranne che per la quotidiana recitazione del salterio; non c’era alcuna difficoltà compresa nei loro viaggi che potesse dissuaderli da questo. Il dettaglio sul loro assoluto silenzio può forse essere stato un’esagerazione, ma il salterio quotidiano, che è anche un poco straordinario in ogni caso, è attestato in documenti primitivi, particolarmente nella contemporanea Vita di san Pron di un monaco cistercense (PL 185, 1257-70)
Ritornando da Roma in Burgundia Stefano e Pron si fermarono al monastero recentemente fondato di Molesmes, del quale abbiamo ragione di credere che avessero sentito parlare prima, dal momento che il monastero divenne rapidamente famoso in Burgundia. Comunque al loro scoperta di san Roberto e della sua fervente comunità è a volte rappresentata come una completa sorpresa e quasi un caso. Qualunque sia stata la realtà si unirono entrambi alla comunità e trovarono in essa la pace che avevano così a lungo cercato – almeno trovarono questa pace per un certo tempo. Manrique incidentalmente relaziona senza alcun fondamento che l’amico di santo Stefano (non conosceva il nome o la storia di san Pron) aveva provato a dissuaderlo dall’entrare nel monastero e si era allontanato da lui quando egli aveva trascurato questo consiglio (PL 185, 111261) Manrique ignorava completamente i fatti narrati lella vita di san Pron scoperta a quel tempo. … segue