Benedetto da Norcia
Il fondatore del monachesimo occidentale è Benedetto da Norcia (nato nel 480 circa e morto nel 547). Nato da famiglia nobile, studiò a Roma per dedicarsi poi alla vita eremitica. Chiamato a governare una prima volta una comunità monastica, quella di Vicovaro, fallì per l’indisciplina dei monaci. Tentò allora una nuova esperienza di vita comunitaria presso Subiaco, dove fondò 12 monasteri, ma anche qui sorsero problemi con i confratelli. Tra il 525 e il 529 arrivò così a Cassino: sulla cima del monte fondò un nuovo monastero, lì dove sorgeva un tempio pagano (sua sorella Scolastica ne istituì a sua volta uno femminile nelle vicinanze).
La vita comunitaria era organizzata a Montecassino da una regola elaborata con grande equilibrio e moderazione. I monaci non erano sottoposti a norme particolarmente severe e tutto era predisposto per garantire una serena vita comune, come in una famiglia naturale di fratelli governata da un padre. Questi era l’abate, che era aiutato da altri superiori e dal consiglio dei confratelli. Il monastero era una specie di Stato autosufficiente, luogo di preghiera e di lavoro, e il precetto ora et labora, ossia «prega e lavora», racchiude l’essenza del monachesimo benedettino (abbazie). I monaci lavoravano nei campi, ma anche nelle biblioteche dei monasteri, dove si dedicavano allo studio e alla copia manuale delle Sacre Scritture, di libri liturgici e di altri testi.
Cassiodoro e Colombano
Nel tempo di Benedetto fiorirono tuttavia altre esperienze monastiche, come quelle di Cassiodoro e di s. Colombano. Cassiodoro (vissuto tra il 490 e il 580) ebbe un ruolo politico rilevante nella ricerca di una intesa tra i Romani e i Goti; con l’esplodere del conflitto tra questi ultimi e i Bizantini si ritirò in Calabria, e a Vivario, nei pressi di Squillace, dove era nato, fondò un monastero, dotato di una ricca biblioteca.
Qui promosse una intensa attività culturale: traduzioni di opere greche, scritti di formazione religiosa, copia manoscritta di testi antichi. Con ciò indicò un modello di attività poi proficuamente seguito nel mondo monastico. Colombano era invece irlandese, e visse tra il 540 e il 615. Fondatore di vari monasteri in Francia, in quello di Luxeuil elaborò una regola assai rigorosa, che prescriveva un percorso di realizzazione spirituale caratterizzato da dure pratiche penitenziali. La regola di Colombano ebbe ampia diffusione iniziale, poi finì col prevalere quella di s. Benedetto.
Il ruolo dei monaci
Nel generale scadimento della vita civile, economica e politica che seguì la fine dell’Impero Romano, i monasteri costituirono piccole isole quiete e operose. I monaci tramandarono la cultura dell’antichità studiandone e riproducendone le opere. Non solo, costituirono pure un vivaio di uomini colti e preparati che vennero continuamente utilizzati da papi e imperatori per opere di evangelizzazione ma anche, per esempio, per attività come la bonifica di terreni incolti.
Ciò portò a uno snaturamento della missione monastica: i monaci erano sempre più impegnati nelle cose del mondo, e le ricchezze e i possedimenti dei monasteri diventavano sempre più grandi. Tra l’8° e l’11° secolo un ampio movimento di riforma scosse così il monachesimo. Fu soprattutto per iniziativa dei monaci del monastero francese di Cluny, nel 10° secolo, che questo nuovo spirito religioso prese forme più mature. Da Cluny si affermò un messaggio di riforma spirituale della Chiesa, che doveva riscattarsi dalla corruzione che la dominava e dalle ingerenze del potere politico che subiva. I monaci di Cluny, che definirono una nuova regola, eliminarono l’obbligo di dedicare parte del tempo al lavoro manuale: i religiosi dovevano anzitutto dedicarsi alla preghiera e al silenzio. Cluny e la rete dei monasteri collegati, infine, per evitare interferenze delle autorità locali, civili ed ecclesiastiche, si posero direttamente sotto la dipendenza della Santa Sede.