P. Girolami, Beata Maria Gabriella Sagheddu (1914-1939)
Testimoni cistercensi del nostro tempo

P. Girolami, Beata Maria Gabriella Sagheddu (1914-1939)

Il giorno della sua professione solenne aveva pregato così: “Nella semplicità del mio cuore Ti offro tutto con gioia”. E questa monaca trappista, vissuta solo 25 anni, che offre la sua vita per l’unità dei cristiani, può essere ricordata proprio quale esempio di donazione totale e senza riserve di sé, come fa anche Papa Francesco nella Gaudete et exultate. Nell’omelia della sua beatificazione, Giovanni Paolo II, con un linguaggio agonistico e sportivo, ricordava così i suoi “primati mietuti nella palestra di quella scuola del servizio divino proposta dal Grande Patriarca san Benedetto”: «è infatti storicamente la prima Beata che esce dalle file della Gioventù femminile di Azione cattolica; la prima fra le giovani e i giovani della Sardegna; la prima tra le monache e i monaci trappisti; la prima tra gli operatori a servizio dell’unità».

Maria Sagheddu era nata a Dorgali, in Sardegna, da una famiglia di contadini e pastori, quinta di otto figli. Il padre muore giovane e la stabilità economica ne rimane compromessa, ma la madre, che ha preso le redini della casa, non lascia mai senza elemosina il povero che bussa. Forse è questo lutto a rendere asprigno e ostinato il carattere della bambina. Le testimonianze del periodo della sua infanzia e adolescenza ci parlano di un carattere caparbio, ribelle, contestatario, ma con un forte senso del dovere, della fedeltà e dell’obbedienza, pur dietro apparenze contraddittorie: “Diceva di no, tuttavia andava subito”, dicono di lei.

Ma intorno ai diciotto anni si nota in lei un forte cambiamento: a poco a poco si addolcisce, scompaiono gli scatti d’ira, acquista un profilo pensoso e austero, dolce e riservato, crescono in lei lo spirito di preghiera e la carità, compare una nuova sensibilità ecclesiale ed apostolica tanto che si iscrive all’Azione Cattolica. È in questo periodo che comincia a farsi strada la vocazione religiosa. Ne parla con il viceparroco e suo direttore spirituale, don Basilio Meloni, il quale la indirizza alla Trappa di Grottaferrata, comunità a quel tempo povera di mezzi economici e di cultura, ma governata da una donna saggia e illuminata, una vera figura profetica, Madre Pia Gullini. I primi anni di vita monastica trascorrono segnati da una gioia serena e dall’impegno deciso nel rispondere alla propria chiamata. La testimonianza della madre maestra ci aiuta a conoscere il profilo di questa giovane novizia: «Sr. Gabriella si era fatta un alto concetto della vita religiosa. Era pronta a tutto, pur di arrivare all’unione con Dio. Camminava nella fede e nella speranza, in quanto il destino della sua anima fu per lo più aridità. La sua carità amabile la faceva benvolere da tutta la comunità». Il suo proposito è del resto limpido e risoluto: «Non ho altro programma – dice – che rinunciare alla mia volontà».

Dopo la professione solenne, avvenuta il 31 ottobre 1831, nella solennità di Cristo Re, la grande svolta nella sua vita. Nel gennaio di quello stesso anno era arrivato per la prima volta alla Trappa l’opuscolo della “Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani” inviato da don Paolo Couturier, sacerdote di Lione e apostolo dell’Unità, che chiedeva con insistenza la preghiera della monache. La Badessa lo legge alla comunità e la monaca più anziana, Madre dell’Immacolata, si sente spinta a offrire per questa intenzione la sua vita, che si consuma un mese più tardi a seguito di una paralisi. L’anno seguente, nel gennaio del 1938, di fronte ad un nuovo opuscolo e a un nuovo appello, si fa avanti questa volta M. Gabriella, la quale domanda insistentemente alla propria Badessa: «Mi lasci offrire la mia vita, cosa vale? […] Sento che il Signore me lo chiede, mi sento spinta anche quando non voglio pensarci». E Il Signore sembra prendere in parola la giovane monaca, se dirà: «Da quel giorno che m’offersi non sono stata più bene: o una cosa, o un’altra, ogni giorno ho sofferto». Sarà la tubercolosi, sopraggiunta in breve, a consumare il suo corpo, sino ad allora sanissimo, portandola alla morte in soli quindici mesi di malattia. È la sera del 23 aprile 1939, quando M. Gabriella si spegne, totalmente abbandonata alla volontà di Dio, ed è la domenica del Buon Pastore, in cui il Vangelo ha proclamato: “Ci sarà un solo ovile e un solo pastore”.

Il suo corpo, trovato intatto in occasione della ricognizione nel 1957, riposa ora in una cappella del monastero di Vitorchiano, dove si è trasferita la comunità di Grottaferrata. Suor Maria Gabriella è stata beatificata da Giovanni Paolo II il 25 gennaio 1983, nella festa della conversione di S. Paolo, il giorno conclusivo della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Nella sua enciclica Ut unum sint, il pontefice l’ha indicata come figura esemplare di preghiera per questa causa: «Suor Maria Gabriella, chiamata dalla sua vocazione ad essere fuori del mondo, ha dedicato la sua esistenza alla meditazione e alla preghiera incentrate sul capitolo 17 del vangelo di san Giovanni e l’ha offerta per l’unità dei cristiani. Ecco, questo è il fulcro di ogni preghiera: l’offerta totale e senza riserve della propria vita al Padre, per mezzo del Figlio, nello Spirito Santo. L’esempio di suor Maria Gabriella ci istruisce, ci fa comprendere come non vi siano tempi, situazioni o luoghi particolari per pregare per l’unità. La preghiera di Cristo al Padre è modello per tutti, sempre e in ogni luogo».

Sr. Patrizia – Valserena

 

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