dalla Carta di Visita a MSB
“La felice conclusione della Visitazione non era attesa così rapidamente. Questo è il frutto del nostro comune ascolto dello Spirito, attraverso i nostri incontri fiduciosi, e vi ringraziamo tutti per questa fiducia e fede. La grazia di Dio è sempre all’opera ma spesso manca la porta aperta dell’umiltà.
Vi incoraggiamo a proseguire nel cammino verso la comunione sinodale. La vostra comunicazione deve crescere e approfondirsi per cercare insieme la volontà di Dio nella verità e nell’amore. Abbiamo raccomandato all’abate di incontrarsi personalmente con ciascuno dei fratelli in modo regolare. Anche il consiglio dell’abate dovrebbe riunirsi frequentemente (ogni due settimane sembrerebbe rilevante) e i membri del consiglio sono incoraggiati a partecipare attivamente e creativamente, anche suggerendo argomenti che devono essere discussi. Il Consiglio è il nucleo della vita comunitaria e non è chiamato solo a risolvere problemi o questioni specifiche, ma a cercare di rafforzare e stimolare la vita comunitaria e l’unità, a coinvolgere i frati nello sviluppo di una visione comune e di rivitalizzazione della vita monastica, che è sempre riformanda. La fonte principale rimane l’ascolto comune della Parola di Dio, e incoraggiamo la creazione di piccoli gruppi di condivisione.
Veramente la liturgia è la fonte e il culmine della nostra vita cristiano-monastica, come dice il Concilio Vaticano II; la sorgente dove riceviamo l’infusione dell’Amore per poterci amare gli uni gli altri e il culmine dove le nostre fatiche e prove per amare sono salvate e portate a compimento nell’offerta di Cristo. Eppure non possiamo accontentarci del sacrificium laudis: la liturgia ci manda a vivere in comunità il mistero che celebriamo: Cristo in mezzo a noi. Pertanto, siamo riuniti ogni giorno e sette volte al giorno, per diventare veri vicini, fratelli premurosi, assumendoci la responsabilità gli uni degli altri, comprese le nostre mancanze e limitazioni. Questo dà il peso di verità che le nostre celebrazioni liturgiche richiedono.
Il rischio è quello di dimenticare sempre il nostro dovere di coltivare i nostri legami, di lasciare che l’indifferenza, il giudizio, la sfiducia, il pregiudizio, occupino lo spazio tra voi, e così tradiscano Cristo presente nel fratello. Come dicevano i nostri Padri Cistercensi, siamo alla scuola dell’Amore, imparando a vivere secondo lo Spirito, in una costante dinamica di conversione, verso Dio, certo, ma verso i fratelli, e verso il nostro vero io. Ciò che porta alla morte di una comunità non è la diminuzione dei numeri, dell’età, della fragilità: è la perdita della nostra volontà di conversione, la dimenticanza di essere pellegrini, mendicanti della grazia.
Abbiamo avuto in questi giorni due incontri di riconciliazione pieni di grazia tra fratelli che hanno avuto difficoltà nei loro rapporti che si sono conclusi con l’accoglienza e il perdono reciproci, e così proclamiamo le meraviglie dell’azione di Dio tra di voi. Questo tipo di incontro potrebbe essere suggerito o dall’abate, dai formatori o da una delle persone coinvolte, chiamando talvolta un terzo fratello, come ministro della riconciliazione. La richiesta di tale incontro va accolta sempre con fiducia nell’opera dello Spirito Santo, sempre presente nel cuore di ogni fratello e della comunità.
Una sorta di “Capitolo del perdono” potrebbe essere istituito, su base regolare, come complemento di queste riconciliazioni individuali. Coltivare tra di noi il vincolo della carità richiede la nostra collaborazione. Tale pratica apre il nostro cuore alla compassione, che è la vera conoscenza, e poi alla fiducia reciproca, alla solidarietà reciproca nel cammino di conversione, che è infatti un’opera comune: la conversione dei miei fratelli è parte della mia conversione, il mio farmi custode di mio fratello.
Tra le cose che ci accecano c’è sicuramente il colore della pelle, la differenza di razza e cultura, l’istruzione e l’estrazione sociale. Dovreste essere consapevoli di questi ostacoli mondani, che il Fuoco della Carità cerca di superare. Qualunque possa essere la nostra reazione spontanea, non possiamo più accampare su queste posizioni, imprigionare i nostri fratelli con etichette, dividere il Corpo di Cristo. Perché dovrei vedere le differenze come minacce? La nostra fede ci insegna a vederle come doni, come segni e cammino verso la comunione. Non a caso siete ormai una comunità multiculturale, una comunità che ha donato il Beato Cipriano all’Ordine e alla Chiesa.
I nuovi arrivati portano nuova vita e nuove sfide, soprattutto quando provengono da culture diverse, e oggi tutti i giovani sono cresciuti in una nuova cultura. Vogliamo aiutarli a crescere in Cristo, aiutandoli a imparare a fare discernimento su ciò che hanno imparato e vissuto nella società e su ciò che Gesù ci rivela e ci invita a vivere. Ricordate che l’Europa è oggi un territorio missionario e una società multiculturale senza valori tradizionali. Chi viene cerca una vita cristiana diversa da quella che ha trovato o visto prima – una comunità di amore fraterno in Gesù Cristo. Una comunità che sa vivere insieme nell’amore fraterno, nell’accoglienza, nel perdono, nell’apertura, nella fedeltà e nel dono di sé per il bene comune.”
Un Rêve de Dom Godefroy
Giovedì mattina, 27 luglio, al Monte San Bernardo, una settimana prima della sua morte, Dom Godefroy mi raccontò di un sogno che fece:
«Ho avuto un sogno strano sta notte…
Eravamo insieme in comunità, non so quale comunità, ma in comunità.
Era il fine del mondo, tutto crollava, un grande collasso, confusione totale.
Tutta la gente cercava di afferrare qualcosa, prendere in mano qualcosa di ciò che stava disparendo, aggrappandosi a frammenti di ciò che si stava dissolvendo,
tenere per se pezzetti di ciò che stava cadendo a pezzi.
Improvvisamente ho capito: noi che viviamo in comunità, in comunione,
sappiamo vivere questo momento.
Non c’è bisogno di aggrapparsi alle cose in preda al panico,
ma piuttosto di lasciar andare tutto
e stare dritti con calma per accogliere ciò che stava accadendo, ciò che stava arrivando…
Poi mi sono svegliato….»
Il suo volto era radioso e felice mentre parlava. Ha raccontato alla comunità il sogno dopo le Lodi.
Md. Martha Driscoll