M. Fergusson, Spiritualità fuori dai luoghi comuni

M. Fergusson, Spiritualità fuori dai luoghi comuni

Per gentile concessione della rivista The Tablet, che ringraziamo, pubblichiamo:

RICORDANDO L’ETERNO

del 15 settembre 2018

Maggie Fergusson incontra Erik Varden, Abate cisterciense, e riscopre la gioia della vita dello spirito.

 

Articolo di Maggie Fergusson

a cura di Brendan Walsh

(traduzione in italiano)

 

Un incontro con l’abate di un monastero cisterciense porta un inaspettato gusto di gioia ed entusiasmo che viene dalla vita nello spirito.

Fin da bambino in Norvegia, Erik Varden, figlio di un veterinario di campagna, percepiva un senso di lontananza – nostalgia di casa, “di una patria che ricordavo ma che non avevo mai visto”. Ci sono stati decenni di “smarrimento, dolore e domande” prima di scoprire dove questo lo stava conducendo: 17 anni fa, a 26 anni, arrivò al monastero cisterciense di Mount Saint Bernard in Leicestershire, dove ora è Abate e dove spera di morire.

“The shattering of loneliness” (Il frantumarsi della solitudine), da poco pubblicato da Bloomsburry Continuum, è il frutto dei suoi anni di ricerca. È una cosa eccezionale: un libro che doveva essere scritto. Può cambiare la vita.

“Devo avere una personale esperienza di qualcosa per poter dire, in verità, che la ricordo?” Chiede Varden nella sua introduzione. E’ una domanda su cui ha riflettuto tutta la vita. I sei capitoli del suo libro si soffermano sulle esortazioni a ricordare della Bibbia: ad esempio , “ricorda che sei polvere”, “ricorda che sei stato schiavo in Egitto”, i discepoli ricordano l’Ultima Cena sulla strada di Emmaus.

Egli li presenta non come semplici inviti ad imparare cose che accaddero tempo addietro, ma come un invito a viverle e ad essere personalmente coinvolti con esse. Le tesse in “una storia di redenzione che non solo raggiunge l’epoca degli inizi, ma ci porta avanti, fino all’eternità”.

La trama delle citazioni è formidabile: passa con disinvoltura dall’Antico al Nuovo Testamento, da scrittori come Virgilio a Stig Dagerman. Ed esamina vite di uomini e donne straordinari, alcuni di fede, altri no. Se questo suggerisce un pesante volume, coraggio. Il libro è di solo 164 pagine, scritto con brevi e semplici frasi di eccezionale sensibilità. Le difficoltà e tentazioni che prende in esame sono sorprendentemente attuali: dipendenze sessuali; individualità fluida, usa e getta; inerzia.

Varden è slanciato, i suoi capelli quasi rasati tendono ad una sfumatura di grigio. Il suo leggero accento dà alle sue parole precisione ed egli parla e ascolta con concentrazione. E’ come se stesse costantemente viaggiando tra questo mondo e il suo mondo di preghiera, portando messaggi. E in lui c’è anche una certa levità: nel sua facilità alla risata.

Sedendo su una panchina nel giardino del monastero, cominciamo a parlare di un problema interessante su cui si sofferma nel libro: il problema del “bloccarsi”. “Non andare avanti nel sentiero della vita è andare indietro” scriveva S. Bernardo di Chiaravalle, un esponente del movimento di riforma benedettina sfociato nell’Ordine cisterciense, e Varden mette in guardia che “la temibile possibilità di bloccarsi dovrebbe enerci all’erta fino al nostro ultimo respiro”. “L’arrestarsi” o “l’indugiare” è, secondo lui, “il rischio professionale dei monaci.” “Sei in questo posto, sai che starai qui fino alla morte, hai la vista del cimitero, l’horarium è lo stesso giorno dopo giorno, e la tentazione è pensare: ‘Adesso sono qui, devo solo restare e aspettare’. Invece mi piace pensare che nella vita monastica ci sia una tensione dialettica intrinseca. I benedettini emettono 3 voti: di obbedienza, di stabilità e di conversatio morum. Vedo quest’ultimo esattamente come un voto contro la stasi.”

Quali sono i segni che uno è bloccato?

“La perdita della gioia.”

E come ci si sblocca?

“Si dice che S. Antonio di Egitto, ritenuto il primo monaco, cominciasse ogni giorno dicendo: ‘Oggi inizio’. Quando tu provi a vivere la vita con serietà e con entusiasmo, è costantemente nuova: ogni giorno è un po’ come il primo giorno della creazione. Noi iniziamo la nostra giornata alle 3,20 con le Vigilie, e S. Benedetto vorrebbe che il primo salmo da cantare fosse il salmo 94 (95): “Ascoltate oggi la sua voce, non indurite il vostro cuore”. “Oggi”: quando la vita monastica cammina, lo riconosci da una certa energia, da un certo entusiasmo.”

E cosa accade quando non cammina? Cosa dire a proposito del diffondersi della cattiva condotta sessuale nella Chiesa? In “The shattering of the lonileness” Varden collega i Padri del Deserto con Freud suggerendo che la passione libidinosa è spesso un sintomo di una malattia spirituale. “Penso che in molti casi lo sia. Non dobbiamo spiritualizzare o psicologizzare terribili crimini; e certamente ci sono patologie che richiedono diagnosi mediche. Ma queste non possono essere la risposta a tutto. Io credo che la vita monastica amministri una straordinaria ricchezza di discernimento e sapienza – una sapienza concreta – che la Chiesa ed il mondo non solo hanno dimenticato, ma probabilmente, non hanno mai conosciuto”, dice Varden.

Fa parte di questa sapienza il bisogno di ogni singolo monaco di avere una guida spirituale, o confessore, con cui possa parlare liberamente e regolarmente a proposito degli aspetti più intimi del proprio cuore e della propria mente.

Mentre noi – e in particolare i giornalisti – non dobbiamo compiacerci nel male.

Quando era adolescente Varden per un certo tempo fu tormentato dal pensiero dell’ Olocausto. Ora, dice, “continuo a vederne l’oscurità… ma ha perso la sua attrazione”. E a proposito delle vittime del male? “L’angoscia del mondo – scrive- è abbracciata da un’infinita benevolenza che gli conferisce uno scopo”. Come comunicare questo a chi soffre terribilmente senza irritare? “Uno può solo cercare di comunicarlo incarnando la benevolenza, anche senza parlarne. Come sembra abbia detto S. Francesco: “Predica il Vangelo in ogni momento. Usa le parole quando necessario.”

Dal male passiamo al bene. Nel suo libro, Varden cita S. Serafino di Sarov che dice: “Solo una buona azione compiuta nel nome di Cristo porta i frutti dello Spirito Santo” e questo mi ha disorientato. Gli ho detto di una mia amica (uno fra i tanti esempi possibili) che è sposata con un banchiere, e potrebbe vivere una vita lussuosa. Invece, passa i suoi giorni aiutando mamme sole in grandi casolari. Non ha fede. Le sue azioni sono inutili? “C’è da fare un’importante distinzione. Serafino non dice che una buona azione non fatta nel nome di Cristo non porti alcun bene. La bontà è sempre una partecipazione alla fonte del bene, che lo si riconosca o meno. Quello che Serafino, però, vuol dire è che la consapevole apertura del cuore nell’ abbracciare l’ inabitazione dello Spirito lo fa diventare personale. “E questo è uno dei grandi paradossi: il Signore ha un’immensa delicatezza. Lui non si impone mai, non forza nessuno. Se non lo lascio entrare, Lui non si apre la strada con la forza. Ma questo non vuole dire che chi fa il bene ciecamente, ma è aperto a quell’imperativo del bene, non sia vulnerabile ad una sorta di propedeutica dello spirito, un’ intima preparazione del cuore che, in questo o nell’altro mondo, porterà i suoi frutti. Il bene è sempre bene.”

Sullo stesso filone mi domando,allora, cosa pensi Varden a proposito delle persone con una fede non cristiana. Risponde senza esitazione: “Uno può certamente e evidentemente imparare da loro”. Il suo compagno di stanza all’ Atlantic College nel Galles, un musulmano sciita, ha avuto un’importante influenza sul suo cammino. E’ stato un monaco buddista che lo ha introdotto al “silenzio come possibile espressione di un ardente desiderio spirituale, in un certo senso è stato il mio risveglio alla preghiera”. E, mentre si preparava a diventare cattolico, il documento del Concilio Vaticano II che lo ha colpito più di ogni altro fu Nostra Aetate: “Mi sono detto: ‘Caspita! Una fede che può esprimersi con affermazioni dogmatiche così chiare a proposito di ciò che ritiene vero e allo stesso tempo tendere una mano di amicizia a chi apparentemente proclama una verità diversa, questa fede ha qualcosa che vale’”. La pretesa della Chiesa Cattolica di essere custode della pienezza della verità – prosegue- “non è dire che essa ha il monopolio della verità. La verità è sempre più grande. Come monaci, noi siamo preparati a tendere sempre la mano in amicizia verso chiunque la tenda a noi. Questo sostiene il modo in cui ci relazioniamo con persone di credo diverso.” Parla della sua ammirazione per i monaci di Thibirine in Algeria, la cui storia è narrata nel film “Uomini di Dio” che hanno vissuto in armonia con una popolazione a maggioranza islamica, sempre più consapevoli che stavano rischiando la loro vita per difendere quell’amicizia.

L’incontro con una fede così chiara e granitica come quella di Varden, unita ad una completa assenza di orgoglio spirituale, è rara e commuove. Nel suo libro parla del bisogno di crescere nell’umiltà: ma come possiamo farlo? Come si attua? In senso benedettino, egli dice, “l’umiltà è in funzione della verità, e in monastero cerchiamo di vivere una scelta preferenziale per la verità.” Abbracciare la verità può essere, “come so fin troppo bene, profondamente sgradevole, ci sono così tante cose che uno vorrebbe nascondere perfino a se stesso.” Ma S. Benedetto sottolinea un modo di conoscenza di sé. La sua preoccupazione è quella di liberarci dal bisogno ci apparire più di ciò che siamo. Vuole radicarci nel reale, salvarci dall’auto esaltazione.” Ascoltandolo, mi colpisce che l’umiltà sia una sorta di liberazione; che il senso di libertà che Varden comunica, nonostante le apparenti restrizioni della sua vita, trovi le sue radici in questa assenza del bisogno di dover dimostrare qualcosa a se stesso. Penso a Etty Hillesum che, fissando attraverso le assi di un camion per il bestiame un soldato nazista che camminava impettito, si chiede: “Chi di noi è libero?”

Visitando una comunità così manifestamente vitale come Mount Saint Bernard, si è tentati di pensare che si possa lasciare ai monaci la parte pesante della vita spirituale. Ma Varden è chiaro: la chiamata alla santità ” è indirizzata a tutti. E’ questione di avere un orecchio che ascolta la chiamata e la volontà di ascoltarla.”

Ogni tanto ne “The shattering of the loneliness” c’è un piccolo accenno di frustrazione per il modo in cui alcuni di noi – monaci e suore compresi – sembriamo considerare la nostra fede “come se il Cristianesimo fosse una patina da appiccicare alla vita invece che un invito al cambiamento.” Parla ad esempio dell’atrofia della carità. Cosa significa? “C’è sempre il rischio di ridurre la carità ad un qualcosa da fare, mettendo la busta Cafod (associazione per la carità in Inghilerra) su un vassoio, o qualsiasi altra cosa, dimenticando di cercare di vivere veramente e d’incarnare la carità – benché non possa dire che io ci riesca” dice. “Vivere la carità è pericoloso: chiede un coinvolgimento di tutto se stesso, un perdere se stesso che è eroico.”

E quando dice che “la vita cristiana non convince perché manca di ‘credibilità incarnata’”, cosa intende? “Noi religiosi, per esempio, ci lamentiamo continuamente per la crisi di vocazioni, quando ciò che dovremmo fare è chiederci: “Cosa vedono le persone quando ci osservano? Vedono uomini e donne infuocate di zelo buono ed energia e una vita in movimento? O vedono qualcosa di stagnante e senza vita?”.

E cos’è una “spiritualità piatta”? Ride di cuore: sono un po’ in guerra con la parola “spiritualità”. Ogni tanto la uso come un nome astratto: essendo la spiritualità quella capacità di un essere umano di vivere nello spirito. Ma trovo che la parola spiritualità con un aggettivo a lato non abbia senso. Se qualcuno mi chiede di parlare della ‘spiritualità cisterciense’ rispondo che non so cosa sia.”

Il tempo dell’intervista è terminato. Varden va a prendere due bottiglie di birra scura loamy di Mount Saint Bernard prima di salire sulla Ford Fiesta del monastero e di dirigerci a Loughborough.

Varden mi aveva detto che durante i suoi anni di ricerca aveva visitato la Abbazia di Caldey in Galles dove aveva incontrato un monaco che lo aveva molto colpito: “Non parlammo assolutamente di nulla, ma c’era qualcosa in lui che aveva un non so che di luminoso. Ho pensato: Qualunque cosa sia, la voglio.” Il mio incontro con Varden mi ha lasciato la stessa impressione. Mentre il treno sferraglia verso sud, ripenso alle parole dette da Gesù alla Samaritana nel caldo sole di mezzogiorno: “ Se tu conoscessi il dono di Dio.”

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