Come ci si presentano i nostri Santi fondatori in questo inizio di secolo e di millennio, in questo tutto particolare momento storico?
Certamente siamo ancora sotto l’impressione di una settimana dell’Unità che ha avuto al proprio cuore la giornata di preghiera di Assisi: intenzione per l’unità, dunque, spalancata ai temi della pace. Pace fra le nazioni, pace fra i popoli, pace fra le religioni. Pace che nasce dalle religioni, pace che nasce dal rimettere Dio al primo posto, pace che nasce dal non lasciare che la religione venga strumentalizzata dal suo contrario, la violenza, e piegata al suo contrario, il male del mondo e la morte dell’uomo. Questo il tema della giornata, questi i temi del discorso del Papa, che ha innanzitutto rivendicato a Dio il primo posto: “Qui il Poverello di Assisi ci invita anzitutto a innalzare un canto di gratitudine a Dio per i suoi doni. Lodiamo Dio per la bellezza del cosmo e della terra… è bene che gli uomini ricordino di trovarsi in un’aiuola dell’immenso universo creata da Dio per loro. É importante che si rendano conto che né loro, né le questioni per cui si affannano tanto, sono il tutto. Solo Dio è “il tutto” e a lui ciascuno dovrà alla fina presentarsi per rendere conto. Lodiamo Dio, creatore e signore dell’universo, per il dono della vita e specialmente della vita umana…”. E il papa continua poi con un discorso volto a lodare la varietà della vita e quindi la pace e l’armonia in cui questa varietà è chiamata a vivere e ad esprimersi – un discorso nel quale ogni religione possa ritrovarsi.
Il suo richiamo si fa poi più preciso, anche con accenti chiaramente cristiani: richiamo alla pace nella giustizia e nel perdono, pace nella misericordia, secondo il filo conduttore che già ci ha presentato nel messaggio per la giornata della pace.
Ma il segno forte di questo discorso, e di tutta questa giornata, è il rifiuto deciso a lasciare che la religione venga strumentalizzata in appoggio alla violenza e all’odio: si tratta di una risposta decisa al tentativo compiuto dagli ultimi, e da tutti gli estremismi terroristici, islamici e non, di questi tempi. “Tragici conflitti sono spesso derivati dall’ingiusta associazione della religione con interessi nazionalistici, politici, economici o di altro genere. Ancora una volta noi, insieme qui riuniti, affermiamo che chi utilizza la religione per fomentare la violenza ne contraddice l’ispirazione più autentica e profonda. É doveroso, pertanto, che le persone e le comunità religiose manifestino il più netto e radicale ripudio della violenza, di ogni violenza, a partire da quella che pretende di ammantarsi di religiosità, facendo addirittura appello al nome sacrosanto di Dio per offendere l’uomo.”
Qui si colloca la giornata di preghiera per la Pace, qui si colloca l’odierna solennità dei nostri fondatori. Cos’hanno voluto realizzare, sottolineare, indicare soprattutto i nostri fondatori? Chi dice la povertà, chi dice la solitudine e separazione dal mondo…. Oggi possiamo dirlo così: i nostri fondatori hanno voluto precisamente dissociare la scelta monastica secondo la Regola di San Benedetto da tutte quelle commistioni col potere che sempre, con l’andare del tempo, le si attaccano, come si attaccano ad ogni realtà che sia anche umana.
Nella stessa Regola è previsto un sistema di sanzioni: impossibile che una comunità possa vivere, se non può punire le infrazioni della legge che la regola. Nei monasteri, c’era l’uso della disciplina, c’erano sanzioni, c’erano anche le prigioni. E tutto questo era lecito – tenendo conto che ogni generazione ha il suo modo di applicare la giustizia – ma di tutto questo si poteva abusare. Si può abusare degli strumenti di giustizia leciti e farli diventare violenza, si può usare di mezzi illeciti per esercitare la violenza, come in tanti punti dimostra la Vita di San Benedetto (i vari avvelenamenti del Santo).
Occorre sempre di nuovo liberarci dalla violenza che ci insidia dal di dentro del nostro cuore, occorre lavare le nostre mani sempre di nuovo nel perdono di Dio.
Perciò il Papa oggi ci parla e ci riparla di perdono necessario per la giustizia e per la pace. Perché siamo, e dobbiamo riconoscerci, peccatori.
I monaci, ci dicono i nostri fondatori, non sono esenti dalle tentazioni del potere e della violenza: le debbono fuggire come la peste. Per fuggirle, hanno ripercorso gli itinerari di Benedetto, hanno lasciato, e lasciato, e lasciato. Di Roberto, sappiamo che ogni volta, sino all’ultima e finalmente riuscita, ha lasciato le realizzazioni del sogno monastico inseguito per tutta la vita: in ricerca di una verità più grande, e infine della Pace dei suoi fratelli. Di Alberico, sappiamo che per lo steso ideale ha sopportato prigione e battiture, e mai nella vita ha potuto raccogliere un frutto evidente delle sue fatiche. Di Stefano, che a lui è toccato raccogliere il frutto ed evidenziarlo e codificarlo in una legge della Carità, in una struttura di fratelli, in una comunione di comunità. Tre vite simili e diversissime, per realizzare lo stesso ideale.
Che cosa unifica queste vite in un’unica vocazione? La Regola e l’amore alla Regola, certamente. Ma di più, la somiglianza col Cristo.
Alla fine del suo discorso, il Papa si fa preciso e si rivolge ai seguaci di Cristo:
“Mi rivolgo ora in modo particolare a voi, fratelli e sorelle cristiani. Il nostro maestro e Signore Gesù Cristo ci chiama a essere apostoli di pace”. Come? Il Papa ci dà qui in poche righe una sintesi del Vangelo, e la leggeremo leggendo per intero il suo discorso. Ora diciamo solo che questa sintesi finisce con il discorso del Golgota, l’invito a fissare lo sguardo sul mistero della croce, “albero di salvezza, irrorato dal sangue redentore di Cristo, … segno di vittoria dell’amore sull’odio”. É lo stesso discorso del Vangelo di questa notte, che prendiamo oggi come messaggio speciale per noi.
“Vi ho chiamati amici” è la parola di Gesù che i nostri Padri raccolgono. Non servi, schiavi, ma amici. Collaboratori in una dolce unità, nella costruzione della comunità. Non servi di un padrone, non schiavi, sottoposti. Ma neanche rivali, concorrenti, lupi in lotta con altri lupi. Amici, fratelli: l’unico modo per edificare davvero la chiesa di dio, carne della stessa carne, membra dello stesso corpo, in dolce unità sotto lo stesso Capo. Difficile? Impossibile? All’uomo peccatore, certamente sì. Ma c’è una soluzione: nessuno ha amore pù grande di colui che dà la vita per i suoi amici. La dà come io la do a voi, la dà come io la do a giuda, quando mi bacia: a che sei venuto, amico? La dà senza ferire, ma perdonando. La dà prima parlando e insegnando e poi tacendo. La dà sino alla fine. Difficile? Sì e no. Impossibile a noi, ma anche facile, con lui. E qui è l’unica, vera sorgente dela nostra gioia, che è lo spirito Santo stesso.