La risurrezione di Lazzaro [1]
Domenica scorsa, con la guarigione del cieco nato, abbiamo visto che la figura del cieco nato ha soprattutto il valore di un segno, sacramento; il dramma non è quello della conversione del cieco: l’uomo non ha peccato… ma è predisposto ad essere il segno stesso della salvezza. … Gesù opera consapevolmente e senza preamboli un segno sacramentale perché altri vedano e comprendano:
«Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. [4]Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. [5]Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo».
Nel Vangelo di oggi, Giovanni 11, la risurrezione di Lazzaro, il discorso prosegue: Gesù è la luce del mondo, e questa luce è la vita. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini (Prologo); oggi è come se dicesse: Io sono la luce e questa luce è la vostra vita.
La Pasqua è preparata da un discorso sulla vita, e su Gesù figlio di Dio che è la nostra vita; lo Spirito Santo ci doni di comprenderlo, perché è di importanza capitale in questo tempo di morte. Oggi si parla molto di morte: morti nelle calamità naturali; molto peggio, nelle guerre. Morti nella violenza che dilaga; molto peggio, le cifre impressionanti degli aborti. Tristissimo, l’eutanasia che avanza. Come mai?
In questo panorama è bene chiedersi: cos’è la vita? Cos’è la vita umana? Numero, statistica, polvere senza importanza? Oppure, quello che avevamo sempre creduto, creazione unica e irripetibile di Dio?
La prima lettura ci dice in modo commovente uno dei punti più alti della fede di Israele, il piccolo popolo cui, fra tutti, è stato rivelato il vero Dio, e anche il nostro cuore cristiano non può che sussultare a queste parole:
“Così dice il Signore Dio: Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi faccio uscire dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi riconduco nella terra d’Israele. [13]Riconoscerete che io sono il Signore, quando aprirò le vostre tombe e vi farò uscire dai vostri sepolcri, o popolo mio. [14]Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete; vi farò riposare nella vostra terra. Saprete che io sono il Signore. L’ho detto e lo farò”». Oracolo del Signore Dio. (Ez 37, 12-14)
Il Dio di Israele è il Dio della vita. Il Dio Creatore. Come ha creato, così Egli può ridare la vita. Il suo popolo è suo popolo in eterno. Rivivrà. Una delle pagine più grandi, così chiara nella ispirazione del profeta, ma che non può evidentemente divenire con la stessa chiarezza la coscienza del popolo nella risurrezione di ciascuna persona, proprio quella, con la sua cerne i suoi nervi e la sua pelle, così come nella visione. Sarà piuttosto la coscienza della risurrezione di un popolo, della eterna grandezza di un popolo che risorgerà dopo il suo esilio.
Ma questa liturgia ci dice: qui, in questa profezia, c’è qualcosa di più, molto di più.
Molto, molto di più ci dice san Paolo nella seconda lettura, tanto che dobbiamo fare un passo per volta e lasciarla a dopo il Vangelo se ci sarà tempo.
Che cosa ci dice il Vangelo? Certamente ci riconferma la parola di Ezechiele:
Riconoscerete che io sono il Signore, quando aprirò le vostre tombe e vi farò uscire dai vostri sepolcri.
Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato.
I discepoli stanno parlando di morte, hanno paura, sono depressi: cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo? E, sentito che Lazzaro è morto e che Gesù vuole andare da lui: «Andiamo anche noi a morire con lui!». Ormai non c’è altro orizzonte possibile che la morte! Eppure Gesù, all’udire che Lazzaro era ammalato, aveva detto subito: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio. [segue]
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[1] Capitolo alla Comunità di Valserena del 2 aprile 2017