M.F. Righi, Lectio divina XXII domenica del T.O. – C

Sir 3,19-21.30.31  [gr. 3,17-20.28-29]  Dal Salmo 67 (68)  Eb 12,18-19.22-24°  Lc 14,1.7-14


Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato.

Nelle quattro domeniche di agosto le letture hanno affrontato i grandi temi: del senso della vita (XVIII) del valore delle ricchezze (XIX) della funzione pedagogica delle prove e della correzione e il battesimo di fuoco (XX) e infine la visione del raduno escatologico di tutte le genti in cui i pagani convertiti offrono gli israeliti come offerta. Nel  Capitolo 14 di Luca (siamo sempre in viaggio verso Gerusalemme) il senso predominante del capitolo è quello del banchetto, che è insieme un insegnamento per il tempo presente e un’immagine del tempo futuro. Siamo a casa di uno dei capi dei farisei e Gesù dà “lezioni di buona educazione” sia agli invitati sia a chi ha fatto l’invito. Non sarebbero superflui questo tipo di avvertimenti neanche oggi per rendere le relazioni più umane e fruibili, ma l’insegnamento che vi si nasconde va molto oltre una semplice lezione di galateo, sia per chi è invitato e senza alcun pudore corre ad accaparrarsi i primi posti (il desiderio smodato di far carriera, o semplicemente il desiderio di stima e approvazione altrui, non é diverso da questo) sia per chi invita e tenderebbe a invitare persone da cui esser ricambiato di pari liberalità. Invece si tratta di invitare gli screditati dalla vita, che sicuramente non hanno da ricambiarti. Possiamo vedere nel Padre colui che invita al banchetto di nozze del suo figlio, e in Gesù colui che rifiutato dal suo popolo è stato messo alla stregua dei storpi zoppi, ciechi, diseredati della vita, essendosi lui stesso paragonato a loro. Tutto quello che avrete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli l’avrete fatto a me. Al cuore di questo brano c’è la massima: Chi si esalta sarà umiliato che partendo dalla situazione concreta di un invito a mensa ci parla di un atteggiamento profondo del cuore che è l’unico che permette di accedere a quella che la seconda lettura chiama  “l’adunanza festosa e l’assemblea a dei primogeniti” . Nella loro successione, infatti, le tre letture sono variazioni sul tema della mitezza e umiltà: Come virtù sociali (Siracide) come caratteristiche di chi è prediletto da Dio (salmo 67) come modalità di partecipazione al banchetto del regno e della vita (Vangelo).

All’inizio del cap 14 (1-6) invitato a pranzo da un capo dei farisei  Gesù compie ciò che poi spiegherà con la parabola: serve la malattia dell’uomo. Entra per mangiare il pane e guarisce uno che non assimila l’acqua. L’idropico che non assimila l’acqua e si gonfia potrebbe ben essere il segno di quel tumor superbiae che gonfia l’uomo facendogli perdere il senso di ciò che è, la verità di sé.  Segue un  monologo con due risposte a domande non espresse da un pubblico silenziosamente ostile: la Legge tace…La Nuova Alleanza è efficace. Nella parabola del grande banchetto, (7-12) parabola che è insieme di chiamata e di misericordia, Gesù spiega ciò che ha fatto: ha scelto l’ultimo posto, mettendosi a servizio dell’umanità malata. Spiega ciò che farà: sarà il piatto principale nel grande banchetto del regno. Di chi parlano questi versetti? Di Colui che ha scelto di umiliarsi nell’Incarnazione e nell’ascensione è stato esaltato: il Padre gli ha detto: Amico ascendi più in alto prosana,bhqi avnw,teron.

12-14: se chi è invitato deve farsi piccolo, chi invita deve non invitare i grandi, ma i piccoli, quelli che non hanno da ricambiare.

La parola sintetica di questa liturgia, Chi si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato, viene ripetuta esattamente al termine della parabola del pubblicano e del fariseo, ma la troviamo anche in una profezia di Ezechiele: (21,31) Ciò che è alto sarà abbassato; in forma di profezia nelle parole di Giovanni Battista (Lc 3, 5) Ogni burrone sia riempito, ogni monte e ogni colle sia abbassato, e in forma di ringraziamento nell’inno di Colei che è più simile a Gesù mite e umile di cuore, Maria che nel suo Magnifica canta a Colui che ha guardato l’umiltà della sua serva mettendola regina al banchetto del regno, e che Ha rovesciato i potenti dai troni, e ha innalzato gli umili.

L’umiltà cristiana allora non è solo una virtù, è il modo di fare di Dio, è la logica del  regno, è un metodo e uno stile di vita. E non è quella virtù verso cui si ha una specie d’istintiva ripugnanza come qualcosa di degno solo dei rinunciatari ,è piuttosto la virtù che serve per moderare l’animo nel tendere alle cose alte (ut immoderate tendat in excelsa) (Tommaso Summa II,II, 161) mentre la magnanimità la rafforza nel desiderio delle cose grandi. L’umiltà reprime i moti della speranza che tende alle cose alte; in questo senso è parte della modestia che consiste nell’avere una certa moderazione, modus, misura…Lo stile umile, modesto non è proprio di chi rinnega la propria umanità, ma di chi modera le passioni che ne sfigurano la bellezza. Papa Francesco sta qui a ricordarcelo, l’umiltà è propria del realismo concreto che sa di essere terra (Humus) ma una terra benedetta perché guardata da Dio. In questo senso non è solo una virtù, ma è anche una virtù desiderabile, imitabile.

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