M.F. Righi, Lectio divina della Domenica II di Pasqua – della Misericordia

M.F. Righi, Lectio divina della Domenica II di Pasqua – della Misericordia

All’umanità, che talora sembra smarrita e dominata dal potere del male,
dell’egoismo e della paura,
il Signore risorto offre in dono il suo amore che perdona,
riconcilia e riapre l’animo alla speranza.
E’ amore che converte i cuori e dona la pace.
Quanto bisogno ha il mondo di comprendere
e di accogliere la Divina Misericordia!

(San Giovanni Paolo II, Angelus 30_04_2005)

Gv 20, 19-31

Dall’alba della prima domenica di Pasqua in cui il sepolcro è il luogo attorno a cui si muove l’azione (Maria va al sepolcro, i due Pietro e Giovanni vanno al sepolcro) si passa alla sera, dove i discepoli sono chiusi e fermi nella sala del Cenacolo, chiusi per paura dei Giudei, e fermi, radunati insieme. Il timore che chiude i loro cuori è come sfiducia condensata, più pesante e più chiusa delle porte chiuse della stanza. Quando il Signore appare, appare a porte chiuse e a poco  a poco schiude le porte della loro fede. Ma ci vorrà l’impertinenza di Tommaso perché sia Tommaso stesso sia recuperato alla comunione dei fratelli, sia che la chiesa diventi una chiesa che confessa la fede. E’ Tommaso, infatti, l’unico che risponde con una formula di fede, resa possibile dall’essere con gli altri, e che ricomprende quell’essere radunati insieme. La Presenza del Crocifisso Risorto cambia quel pugno di uomini spaventati nel primo nucleo della comunità apostolica, nel primo nucleo della Chiesa.  Cristo viene. A differenza del primo quadro in cui l’andare e venire era dei discepoli e di Maria, qui è il Signore che viene, e mostra i segni delle ferite come prova d’identità. Non li sgrida per averlo abbandonato, non li rimprovera per averlo tradito: offre loro in una sequenza impressionante la sovrabbondanza dei doni che la sua Presenza in mezzo alla chiesa porta con sé. Il dono della pace, due volte ripetuto, segno dei tempi messianici, segno del regno di Dio in atto, l’ostensione delle ferite alle mani, ai piedi e al costato: le porte della vita aperte da cui è scaturita l’acqua della salvezza, da cui è fluita la vita e che rimangono le cinque fonti della salvezza sempre aperte, il dono della gioia, la risposta non verbale al suo manifestarsi, e infine in un crescendo quel gruppo di fratelli timorosi e fuggiaschi sono costituiti chiesa in missione: Io vi mando, ponendoli in diretta correlazione alla missione che Egli stessi ha ricevuto dal Padre; e perché questo sia possibile occorre che su di loro sia alitato lo Spirito della nuova creazione, così come sul volto della terra alla prima creazione il Padre alitava lo Spirito di Vita. Il dono perfetto, il perdono che rendendoli nuove creature li abilita anche a trasmettere lo stesso dono ad altri. Ma dov’è era Tommaso? Il Vangelo non ce lo dice. I due versetti che raccontano di lui sono quelli centrali tra le due venute di Cristo in mezzo ai suoi. I discepoli per primi passano la testimonianza e si trovano davanti alla porta chiusa del suo cuore: potrebbe essere un uomo del nostro tempo per il quale è vero solo ciò che vede e tocca. Potrebbe essere un uomo di ogni tempo che vuole essere protagonista della storia e dire: Io ho visto!  In Tommaso siamo tutti noi, tutti coloro che non erano fisicamente presenti a quella riunione nel cenacolo, tutti quelli che ne corso della storia sono chiamati a credere all’annuncio: Abbiamo visto il Signore!

Maria, nel quadro precedente, è in ordine di tempo figura del primissimo incontro con il Signore, e Tommaso viene dopo la manifestazione ai discepoli, dunque Tommaso è figura di coloro che sono chiamati a credere sulla base della testimonianza di altri, è figura di noi tutti, di tutti coloro che vengono dopo i primi testimoni, per questo è figura della nostra fede.

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