M.F. Righi, La fede è desiderio – Lectio divina I Domenica di Avvento – C

Oh, che Egli venga! E con la sua abbondantissima misericordia, dimorando in noi per la fede, illumini la nostra cecità, rimanendo con noi sostenga la nostra debolezza, e rimanendo saldo per noi protegga e difenda la nostra fragilità. (VI Avvento, Bernardo)

All’inizio del nuovo anno la liturgia ci propone di alzare gli occhi a Colui che verrà alla fine dei tempi. Perché cominciare dalla fine? Perché così ci si pone davanti il termine e il senso del cammino, cioè il fine che sostiene l’attesa e la speranza dell’uomo. Ma può cominciare dallo sguardo alla fine chi è poggiato su una memoria salda. La memoria della prima venuta di Cristo sostiene l’attesa della sua ultima venuta. Questi due tempi sono indicati dalla tradizione cristiana come i due tempi che abbracciano la storia della redenzione. Fra questi due la liturgia e la tradizione inseriscono un terzo, il tempo della sua venuta nel presente, che è il tempo della sua Visita personale, il tempo della Chiesa. Il vangelo è un estratto del discorso escatologico nel tempio prima della Pasqua di Gesù. Gesù parla, tutti pendono dalle sue parole e le parole che pronunzia parlano di sconvolgimenti esteriori, di guerre, terremoti, segni nel cielo e sulla terra; e sconvolgimenti interiori nel cuore e nelle vite degli uomini, paura, angoscia, ansia. Le parole che pronuncia sono stranamente opposte a quelle che il pellegrino pronunciava avvicinandosi al tempio di Gerusalemme, e lodavano così le sue pietre: Gerusalemme è costruita come città salda e compatta. Ma Gesù avvicinandosi al tempio dice: Non resterà pietra su pietra; il pellegrino dice: Gerusalemme, città di pace, e Gesù parla di guerra… La rovina di Gerusalemme che è parte di un più ampio sconvolgimento cosmico è solo il preludio di un’altra cosa: una misteriosa venuta di un Figlio dell’Uomo. La citazione di Daniele (in diretta continuità con la Liturgia di Cristo Re) ci rimanda alla venuta del misterioso personaggio che è il Figlio dell’uomo, figura messianica su cui si raccoglievano le speranze di Israele, dopo la disfatta della regalità, della profezia e del sacerdozio. Come in controluce possiamo vedere un’altra venuta: dentro un pari sconvolgimento cosmico, il tempio il cui velo si squarcia e il Figlio dell’Uomo che grida al Padre. Il centro del cosmo e della storia è questo Figlio dell’uomo che viene nell’ora oscura e gloriosa della crocifissione, che è venuto nell’ora umile della sua incarnazione, che tornerà nell’ora gloriosa e terribile del giudizio. Luca, l’evangelista di questo anno C, ha un accento particolare nel descrivere questi accadimenti ultimi; se Matteo sottolinea il Giudizio, e Marco parla del raduno di tutti gli eletti, Luca sottolinea l’aspetto di salvezza e di liberazione, esorta piuttosto gli uomini a levare il capo, parla di una redenzione e di un riscatto. La teologia di Luca legge il compimento dell’Antico Patto con la categoria della redenzione con la quale fa inclusione tra l’inizio del suo Vangelo (il Benedictus Lc 1,68;2,38) la fine (il discorso escatologico e Emmaus Lc 24) e il tempo della Chiesa (At 7,35).   L’esito della venuta del Figlio dell’Uomo non è la paura, ma il risollevare il capo, alzare gli occhi, alzare la testa, alzare lo sguardo, risollevare il cuore: è l’altra grande parola dell’Avvento che risuona all’inizio nell’antifona d’ingresso Ad Te levavi. Davanti al venire di Dio il cuore dell’uomo è chiamato a elevarsi in alto. Dio scende, l’uomo è chiamato a guardare in alto. Figli di Galilea perché state a guardare il cielo? Si ora è il momento di guardare il cielo, ora il Figlio dell’Uomo ritorna. Ma ancora non è un accadimento presente: Allora VEDRANNO…dunque nell’oggi che è segnato dalla paura, dall’angoscia dall’attesa, (e angoscia e paura nascono dal non sapere che cosa si attende), l’uomo è chiamato a guardare in alto, a un avvenimento imminente, perché segnalato dallo sconvolgimento della natura, ma un accadimento che non è nell’ordine della natura. Davanti a quest’accadimento presentito come imminente siamo chiamati a due atteggiamenti di fondo. State attenti a voi stessi: è la grande lezione della spiritualità monastica, da Antonio in poi (attende tibi ipse), è la grande lezione della filosofia occidentale, da Socrate in poi, (conosci te stesso) è la grande lezione del monachesimo benedettino (Habitare secum).E vigilate pregando: il verbo usato da Luca (deomai) indica il bisogno, la necessità, è tipico della preghiera di supplica, precisamente quella preghiera che nasce dall’esperienza dell’angoscia, dell’ansia. Il rialzare il capo coincide con uno sguardo rivolto a Dio nella preghiera e a se stessi, non in autocompiacimento o autocommiserazione, ma vedendo in sé e nei fratelli la medesima Immagine di Colui cui ci rivolgiamo nella preghiera. Che è la condizione per accogliere la sua venuta nella nostra storia personale, nel nostro oggi. La sua Visita.

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