Juan José Pérez-Soba, Perché le virtù?

Juan José Pérez-Soba, Perché le virtù?

Introduzione al libro “Porquè la virtudes” ed. Didaskalos, Madrid 2023

Perché dovrei essere morale? È una domanda di sfida, che contiene una certa violenza interiore come uno schiaffo morale, ma in realtà non è altro che una manifestazione del forte rifiuto che alcune persone provano nei confronti di qualsiasi imposizione che venga dall’esterno. Nonostante la schiettezza che comunica questa domanda risveglia un’eco interiore: se la poniamo, non è sentita come una domanda illusoria, anzi, per alcuni sembra essere la prima domanda a cui rispondere quando una persona si pone nella sfera morale. È una domanda inquietante, perché suona eccessivamente provocatoria, ma tocca un fondamento vitale: esprime la forza di sfida di un uomo che vuole realizzarsi in modo prometeico, con le proprie forze, e che deve far capire che non segue nessun principio che gli viene proposto. Il suo carattere rivoluzionario è evidente: mettere in discussione l’obbligatorietà morale come caratteristica della sua esperienza libererebbe l’uomo da un peso eccessivo che non sempre sa vivere e lo aiuterebbe ad affrontare la vita con altre prospettive più aperte, libere da giudizi di condanna.

In realtà, quando viene posta la domanda, dietro un’iniziale impressione di perplessità, si nasconde un sospetto sulla domanda stessa. L’impressione è che debba essere riformulata, perché è espressa in modo fallace. Il contesto che dà significato al dilemma è quello di rivolgermi a una persona che vuole convincermi della necessità di qualche obbligo morale. In questo caso, servirebbe da scudo, perché propone una domanda difficile come forma di protezione, per evitare la minima pretesa da parte di chi vuole questa indebita imposizione. I cosiddetti maestri del sospetto – Karl Marx, Friedrich Nietzsche e Sigmund Freud hanno fatto proprio questo atteggiamento e lo hanno diffuso in lungo e in largo. Il loro tentativo di smascherare tante immoralità nascoste dietro posizioni socialmente «corrette» ha messo in dubbio la prima esperienza morale, perché essi l’hanno fatta apparire come inficiata da intenti manipolatori. La forza della critica a una società puritana, che soffocava le persone con divieti soffocanti, ha fatto sì che molti abbiano potuto formulare la domanda iniziale come una via di liberazione da quello che consideravano un peso insopportabile e infondato.

Ma, a parte il suo carattere eccessivamente provocatorio, l’espressione ha una lettura diversa, che ci interessa in questa sede. E solleva anche un’altra questione: la vera ricerca di una ragione che spieghi adeguatamente l’esperienza morale che tutti noi viviamo come una chiamata interiore. In questo modo, non si tratta di rivolgere la domanda a un estraneo, ma di interrogarsi internamente sulle proprie ragioni per orientare le proprie azioni in un modo che abbiano senso e che possano essere giustamente definite morali. Allora, contrariamente alla posizione precedente, la mancanza di una risposta, lungi dal liberarmi da un’imposizione, mi lascia indifeso di fronte alla necessità di camminare in una direzione che mi sembra incerta.

Come nel caso del cinismo in generale, la mera negazione di ciò che si disprezza non aiuta ad assumere il valore delle proprie azioni e delle proprie scelte in ciò che di positivo esse comportano. Anzi, sembra che ci lasci in un vuoto oscuro. Invece di proteggerci davanti agli altri, dobbiamo rispondere a noi stessi. Il «perché?» diventa una domanda insidiosa che mette in discussione le mie stesse decisioni, con la necessità di trovarvi un significato che mi convinca. Il cinico, che un tempo si presentava come un liberatore illuminato, ora sembra un cieco che vuole guidare i ciechi (Mt 15,14) ed è un enorme ostacolo alla ricerca di una via.

Proprio in questo contesto è stata ripresa la questione delle virtù nella morale contemporanea, con Alastair MacIntyre come principale punto di riferimento. Quando presentava l’«ipotesi inquietante» di una morale che ha perso il valore dei termini che usa, era consapevole del panorama di tanti uomini disorientati che, nonostante una buona preparazione, soffrono enormemente nel compito di costruire una vita. È una situazione di crescente angoscia che solleva nuove domande, molto diverse da quelle di un secolo prima. Si avverte il bisogno di saper accettare la realtà di una grandezza che accompagna le azioni umane e che è indispensabile all’uomo per crescere e dare un senso alla sua esistenza. Qui non conta l’energica rivendicazione della propria posizione individuale di fronte agli altri, ma il bisogno di aiuto di fronte alla mancanza di referenti, per affrontare l’insidiosa minaccia di un’insensatezza che può annientarci.

La lucidità del pensatore scozzese è stata quella di capire che questa è la vera posizione dell’esperienza morale in ogni uomo: quella di essere una luce interiore delle azioni che permette di fare della vita un cammino verso la felicità intesa come pienezza. Questa scoperta, che illumina molto meglio le condizioni attuali dell’esistenza di tante persone, richiede la riformulazione della domanda iniziale che potrebbe avere un nuovo significato: «perché le virtù?»

Si tratta di intendere la «virtù» nel suo senso originario di «forza interiore, capace di dare il meglio». Una risposta positiva a favore della virtù sembra affermarla come la realtà necessaria che mi libera da ciò che ora è più schiavizzante, l’impossibilità di realizzare ciò che desidero veramente. Ho bisogno di scoprire quell’energia che mi tirerà fuori dalla fossa di tante frustrazioni più o meno nascoste che sembrano impedire quella vita piena che desidero nel profondo del cuore.

Il nostro filosofo, che parte da questa osservazione, fa un passo in più. Egli comprende bene che gli argomenti morali non vengono chiariti nei dibattiti teorici, ma nell’esperienza vissuta delle persone, che genera una tradizione in cui i termini etici trovano il loro vero significato. Esiste una tradizione di virtù che si è posta proprio queste domande e ci offre risposte corroborate da un’esperienza secolare. È chiaro che non tenere conto di questo patrimonio di saggezza umana e pensare di poter inventare la nostra vita da zero sarebbe una manifestazione di cieco orgoglio che va evitata, soprattutto in qualcosa di così importante per la nostra vita. … (segue)

___________________
Juan José Pérez-Soba è sacerdote dell’arcidiocesi di Madrid e professore ordinario di Teologia pastorale del matrimonio e della famiglia presso il Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II di Roma. È Direttore dell’Area dell’Area di Ricerca in Teologia Morale presso il medesimo Istituto.

Download diretto

File Dimensione del file
pdf Sosa_Perchè_le_virtù_VN 215 KB

Vedi anche

F. Botturi, «LIBERTÀ IN GABBIA?»

F. Botturi, «LIBERTÀ IN GABBIA?»

I termini della questione

 

Lo scopo del mio intervento è quello di dire perché ci stiamo occupando di questo tema del così detto politicamente corretto e che cosa pensiamo di trovarvi di significativo.