J. E. Bamberger, Post scriptum a Diario Asiatico di Thomas Merton

J. E. Bamberger, Post scriptum a Diario Asiatico di Thomas Merton

Ho sperimentato una nuova e fresca emozione, troppo a lungo sepolta, nel rileggere il Diario Asiatico, con i suoi vivaci racconti di quelli che sono stati gli ultimi giorni e le ultime settimane della vita di Thomas Merton.

I vividi ricordi degli eventi che seguirono, giusto appena due giorni dopo le righe finali del testo dell’8 dicembre 1968, mi balzarono in mente mentre rileggevo le ultime di queste centinaia di pagine. Mi trovavo al monastero trappista in Conyers [3], Georgia, per predicare un ritiro alla comunità, quando ricevetti una telefonata dall’Abate Flavian [4]. L’Abate m’informava che Padre Louis era stato trovato morto nella sua stanza, fulminato, sembra, da un ventilatore difettoso. Andai a incontrare l’Abate all’aeroporto in Louisville così da essere pronti a ricevere il corpo, che doveva arrivare con un aereo dopo il lungo viaggio da Bangkok, Thailandia. Toccò a me, in quanto ero stato in più di un’occasione medico personale di Padre Louis, riconoscere e identificare il corpo. Ci incontrammo all’aereo, come d’accordo e, dopo aver deciso che la cassa sarebbe stata sigillata presso il “funeral home” Hicks in New Haven, a poche miglia di distanza da Gethsemani, rimuovendo parte superiore della bara esaminai il corpo in modo adeguato e fui in grado di riconoscerlo senza alcuna difficoltà. Non ebbi alcuna esitazione nel compiere questo gesto, dal momento che l’Abate Flavian non se la sentiva di riconoscere il corpo come quello di P. Louis. La parte destra del volto e la tempia era coperta dalla lesione causata dalla bruciatura della corrente. Inoltre, si stavano già manifestando alcuni segni di decomposizione, che modificavano l’aspetto del suo viso, questo, come risultato del permanere per quasi una settimana in clima tropicale dopo il fatale incidente..

Com’era entusiasta e raggiante, quando parlai brevemente con lui prima che partisse da Gethsemani per iniziare questo suo viaggio asiatico! Ci incontrammo all’infermeria dell’abbazia dove, dopo aver parlato di ciò di cui aveva necessità per la sua salute, lo rifornii di alcuni medicinali che gli sarebbero stati utili per tenere sotto controllo alcuni sintomi fastidiosi che rischiavano di ripresentarsi durante il viaggio. Non molto tempo prima, in un suo viaggio a Washington D.C., per sistemare del materiale che gli sarebbe servito nel viaggio asiatico, avevo combinato di farlo alloggiare con un medico messicano, un mio amico dai giorni della nostra comune frequenza all’Ospedale Universitario della Georgetown University. Il dottor Camera-Peon, incontrò Merton all’aeroporto e condusse P. Louis nel suo appartamento, ospitandolo, durante la sua permanenza nella capitale.

Durante la permanenza in Washington, Merton ebbe l’opportunità di incontrare l’ambasciatore indonesiano, Soedjatmoko, il quale aveva trovato lo scambio con Merton altamente congeniale e interessante. L’ambasciatore rimase così affascinato dalla vivacità della sua amicizia che invitò il monaco a raggiungerlo per la cena presso la sua residenza.

Merton scrive nel suo diario le proprie di questo incontro: Soedjatmoko mi interessa veramente -, una persona educata e uno dei pochi con i quali posso comunicare pienamente e ad un profondo livello. In quelle cinque ore non ci fu bisogno di nessuna trivialità o di discorsi doppi [5]. Quando si separarono avevano stabilito una calda amicizia.

Così iniziarono una serie di contatti con asiatici che avrebbe incontrato nelle settimane successive. La descrizione di diversi incontri con altrettanti monaci tibetani, tra i quali il più famoso è stato quello con il Dalai Lama, altri incontri con religiose native del luogo o con preti in missione, come anche le diverse conferenze alle monache, sono tra le molte attività che compongono il contenuto di questo Diario. Queste pagine, rivelano il dono eccezionale che caratterizza la personalità e il carattere di P. Louis che gli ha permesso di comunicare una non comune apertura e un caldo interesse che facilitarono gli incontri e li portarono a un livello personale.

A volte le sue maniere prontamente amichevoli provocavano alla fine un effetto di frustazione per quelli che le interpretavano col significato di un’accoglienza più grande di quanto non fosse realistico. Anche lui, in qualche caso, fu portato a formarsi un’opinione eccessivamente favorevole di certi individui che successivamente furono motivo di delusione, più o meno penosa. Delusioni di questo tipo sembrano inevitabili per coloro che sono chiamati a essere maestri dei novizi o di coloro che hanno emesso i primi voti. Merton non fu risparmiato da queste esperienze.

Ora, il prendere in considerazione attenta questo ultimo dei suoi scritti, così caratteristicamente personale e spudoratamente schietto, allo stesso tempo vivido e impressionistico nel descrivere i posti e le persone, mi riporta indietro la viva memoria della vita quotidiana condivisa con P. Louis. Abbiamo vissuto nella stessa comunità claustrale con la sua varietà di circostanze e abbiamo lavorato insieme durante il periodo della mia formazione alla chiamata monastica e sacerdotale. Per più di diciotto anni ho vissuto con Thomas Merton, seguendo gli stessi orari giornalieri, all’interno dello stesso mondo chiuso di una comunità claustrale di uomini. Quale maestro dei professi, fu anche il mio padre spirituale e maestro nei tre anni trascorsi come giovane monaco di voti temporanei. Sapendo che ero dottore in medicina, poco tempo dopo avere emesso i miei primi voti temporanei, mi chiese se mi sarebbe piaciuto ricoprire l’incarico d’infermiere, anche se ero uno studente che si stava preparando per il sacerdozio. Non vedevo nessuna difficoltà e, quindi, accettai prontamente. In questo modo, il monaco che in quel momento aveva la cura degli ammalati avrebbe potuto essere libero di concentrarsi sulla preparazione finale per l’ordinazione sacerdotale. Siccome, P. Louis, soffriva in modo permanente di diversi problemi di salute, ebbi occasione di ulteriori contatti con lui per fornirgli le medicine per certe difficoltà ricorrenti e fastidiose. Portava pazienza verso gli inconvenienti e i disagi associati a questi problemi, esercitando la capacità di pazientare e di non lamentarsi. Quando, dopo alcuni anni, sorsero nuovi problemi che richiedevano una cura più specialistica, gli feci incontrare alcuni dottori specialisti in città, a Louisville, nel caso che avesse bisogno di essere operato e quindi ricoverato in ospedale.

Qualche tempo dopo i miei voti monastici solenni, Merton fu nominato Maestro dei Novizi [6]. Poiché avevo la specializzazione in psichiatria, fui assegnato, oltre al normale lavoro di infermiere, dall’Abate James Fox [7], all’incarico di incontrare i giovani che chiedevano di entrare in monastero e sottoporli alle interviste di conoscenza di routine. Lo scopo di tali interviste era quello di valutare la loro idoneità psicologica a inserirsi nell’esercizio dello stile di vita monastico. L’esperienza ha insegnato che la formazione in noviziato era un’impresa più esigente di quanto molti candidati potessero sostenere psicologicamente. Dal momento che riportavo risultati delle mie interviste al maestro dei novizi, i contatti con Merton proseguirono per tutta la durata del suo servizio nel noviziato. Questi incontri sono stati quasi sempre gradevoli e amichevoli anche se in più occasioni, che ricordo molto bene, egli fu non soltanto diretto e franco nell’esprimere il suo disaccordo, ma con immediatezza e senza esitazioni, mi offrì la sua visione critica del mio parere, compreso quello che considerava la ragione del mio errore. Potrei aggiungere che non ho avuto nessun problema a comprendere la sua decisione; tuttavia, non condividevo la sua opinione sul perché io avevo una visione diversa.

Questi scambi personali con P. Luis servirono a rinforzare la stima molto reale che mi ero formato per il suo contributo alla mia vita spirituale che, comunque, ebbe inizio ancor prima di entrare in Abbazia come monaco. Avevo letto la sua autobiografia “La montagna dalle sette balze”, e già mi ero formato la vaga impressione che in qualche modo lo conoscevo nonostante non ci fossimo mai incontrati. La storia della sua vita mi aveva aperto orizzonti interiori più ampi per il mio mondo. Sentivo che aveva aperto per me una prospettiva nuova tra le possibilità offerte dalla mia fede cattolica. Il suo modo personale e convinto di condividere la sua personale storia di vocazione, donò una nuova vitalità alle verità che ero già impegnato a vivere da laico praticante. In modo sottile il suo modo di condividere la sua personale esperienza di grazia contribuì a dare freschezza ed energia alla mia decisione di vivere una vita dedicata principalmente alla ricerca di Dio. Le mie prime esperienze di vita con lui nella stessa condizione, specialmente durante gli anni della mia formazione ai voti semplici, servirono a rinforzare la prima impressione che mi ero fatto leggendo il racconto della sua vita con la rappresentazione della sua esperienza interiore di conversione e del suo ingresso sulla vita monastica.

Merton stesso continuò a crescere in consapevolezza negli anni immediatamente seguenti la pubblicazione e la larga diffusione del suo racconto biografico della via tormentata che lo aveva condotto a una stabile pace interiore dal momento che lo aveva condotto alla vita monastica. Divenne consapevole del suo raro dono di comunicatore di realtà interiori e spirituali. Sono in grado di documentare quanto dico, perché, dopo la sua morte, nel corso dei miei viaggi quale segretario generale dell’Ordine, ebbi più occasioni di incontrare e confrontarmi con monaci e monache, di diverse provenienze, di diversa cultura e un numero impressionante mi disse che sentiva di aver conosciuto Merton come persona attraverso l’incontro con lui nella storia della sua giovinezza e della sua conversione.

Merton stesso arrivò gradualmente a una crescente e fiduciosa consapevolezza di questo più intimo impatto dei suoi scritti. Fu influenzato in questa crescita dalle numerose lettere che riceveva dai lettori che erano stati interiormente mossi dal leggere la sua autobiografia. Come risultato del suo racconto molte di queste persone furono condotte a intraprendere uno stile di vita più serio. Merton, espresse questa consapevolezza nel 1964, nel Prefazio che scrisse per l’edizione giapponese de “La montagna dalle sette balze”. Le sue parole nel paragrafo di questo saggio introduttivo di chiusura posseggono ancora un fascino particolare. Ci rivelano una consapevolezza confidente del suo dono di saper esprimere sé stesso molto bene, così da penetrare i cuori di molti che leggono il racconto che egli ha fatto dei primi anni della sua vita e delle sue disposizioni durante il tempo della sua formazione dopo essere entrato in monastero.

Di conseguenza, mio onorevole lettore, non è da autore che voglio rivolgermi a te, non come un cantastorie, neanche come filosofo, neppure da amico: cerco di parlarti, in qualche modo, come se fossi tu stesso che ti parli. Chi può dire cosa significhi questo? Da me stesso non lo so. Ma, se tu ascolti, ciò che verrà detto, non sono cose scritte in questo libro. E questo non sarà merito mio, ma di colui che vive e parla in ognuno di noi! [8]

Proprio l’afferrare gli atteggiamenti di fondo che permeano queste pagine del Diario Asiatico, è essenziale per apprezzare questa capacità non comune che Merton possedeva di entrare con simpatia nella esperienza degli altri. Funzionava in questo modo spontaneamente reattivo con una prontezza disarmante. Egli era così pronto a rispondere alle richieste interessate di chiunque volesse intraprendere un confronto con le sue idee e opinioni che, dava l’impressione, di essere in armonia con chiunque interagisse con lui.

Questa caratteristica ha indotto in errore un certo numero di lettori tanto da trarre false conclusioni sulla sua posizione su una serie di questioni, perché in realtà anche se con il suo modo di fare e le sue parole dava l’impressione di essere pienamente d’accordo, in diverse occasioni mantenne a un livello piuttosto profondo decise differenze interiori di opinione. Io, ho avuto occasione di scoprire per esperienza questo tratto fuorviante che svolge un ruolo così rilevante in molti degli incontri descritti in questo Diario.

 Qualche tempo prima di partire per l’Est, P. Louis mi invitò al suo eremo, per partecipare a un incontro sulla religione e la vita monastica che egli ebbe con dei monaci indù, indiani. A un certo punto di questo scambio con i tre Indù, fr. Louis espresse un accordo con certe visioni che erano ovviamente in disaccordo con la nostra fede Cristiana. Quando l’incontro finì e rimanemmo soli, io lo criticai per il suo comportamento nell’approvare alcune idee che erano in palese contrasto con la nostra fede. La sua risposta non fu quella che mi aspettavo. Mi spiegò che anche lui non condivideva affatto d’accordo con il credo dei monaci in questione, ma, in qualche modo, cercava di essere ‘diplomatico’ nel vedere le cose. Aggiunse: Bisogna andare d’accordo con queste persone, mettendo in chiaro che voleva essere conciliante, ma che non era d’accordo.

In altri passaggi dei Diari e in altri scritti, Merton descriveva momenti critici in riferimento alla vita al Gethsemani, all’Abate e alla vita di comunità. Ma questo venne messo in minore rilevanza dai suoi biografi, perché sembrarono più riflessioni e comportamenti che rivelavano un profondo attaccamento e affetto che non fu mai scalfitto, invece di critiche o atteggiamenti ostili verso la propria comunità e Ordine. In una lettera all’Abate Fox, del 1 ottobre 1949, per esempio, Merton gli parla della sua vita spirituale, così:

…tutto è molto bello qui a Gethsemani. Per qualche strano miracolo di grazia lo Spirito Santo ha iniziato a rendere tenero il mio cuore duro ed io ho iniziato a percepirmi disarmato e sentirmi crescere una bellissima esultanza di essere in unione ad una tale comunità di santi quali noi siamo qui. Reverendo Padre, mi piacerebbe riuscire ad esprimerle quello che porto nel cuore e semplicemente offrirlo [9].

(il brano sopra non risulta in inglese )

Quando Thomas Merton iniziò Diario Asiatico, insieme ai particolari del decollo che lo portò dalla Baia di San Francisco, fino a Bangkok, scrisse anche due riflessioni che ci danno uno spaccato spirituale di quello che sentiva interiormente mentre si recava in Asia.

Il primo ci fornisce uno sguardo veloce sulla sua disposizione di spirito di come stava affrontando il desiderato viaggio: Che io non possa tornare senza aver sistemato la grande questione. E senza aver anche trovato la grande compassione, la mahakaruna [10] . Alla luce della sua morte accidentale a poco più di due mesi, queste parole assumono un finissimo senso ironico, mentre le leggiamo. Questa concisa affermazione, rivela la voglia impaziente di anticipare e penetrare sempre più in profondità il significato nascosto del nostro destino umano, che egli chiamò “la grande questione, che significa la ricerca dell’unione con il Dio vivente attraverso una più piena penetrazione delle religioni dell’Asia. Merton era entrato in contatto con il monachesimo asiatico quando era studente alla Columbia University. Con il caratteristico fascino che spesso dispiegava quando aveva motivo di conoscere qualcuno, Merton, dopo aver incontrato uno studente monaco proveniente dall’India, racconta che: divenni molto amico di Bramachari, e lui di me. Andavamo molto d’accordo… [11]. Merton aveva una capacità non comune nel comunicare con gli asiatici tanto quanto con persone delle altre culture. Abbiamo visto precedentemente con quanta rapidità lui e l’ambasciatore indonesiano iniziarono una calda e intima condivisione di interessi di ogni genere.

Fr. Louis era acutamente consapevole della nube di mistero che circonda Dio, quale realtà ultima. Alcune volte, sembrava, che rispondesse più con una sensibilità e riconoscimento proprie di un buddista o indù, piuttosto che come un monaco cattolico. Si era formato un concetto della cattolicità della tradizione della Chiesa Cattolica Romana, molto più ampio di quanto fosse normalmente comune. Come annotò nel suo Diario, l’influenza della cultura Occidentale ebbe come risultato di restringere eccessivamente la visione dell’eredità culturale di Cristo, che è omnicomprensiva di tutto ciò che è vero e santo. Vedeva la necessità di un allargamento mentale. Fare solo questo era sicuramente una delle sue speranze nell’intraprendere il viaggio asiatico.

La seconda riflessione, annotata nelle prime pagine del Diario, è meno profonda; riflette la sua preoccupazione a un livello meno profondo, essendo in natura programmatica. La pone in questi termini:

Non molto tempo fa stavo pensando al grado di comunicazione – come un problema da studiare in questo viaggio – ed ai suoi numerosi aspetti. E al grado di comunione – problemi risolti in anticipo con l’accettazione di ‘parole’ che non possono essere comprese fino a quando non sono state accettate e non è stato sperimentato il potere.

Questa acuta sensibilità alle parole, è manifestata in questo Diario, dalla cura che Merton ha nello spiegare il significato dei vari termini che incontra nella sua lettura di molti libri che esprimono i concetti del Buddismo e dell’Induismo. Le sue poesie e i testi di prosa in questo Diario, sono serviti anche per dare dei suggerimenti piuttosto che non a porre affermazioni riguardo ai suoi atteggiamenti e al suo modo di pensare in risposta alla tradizionale letteratura che normalmente leggeva.

Una significativa caratteristica della disposizione di P. Louis, per lo svolgersi di queste settimane in Asia, è la sua occasionale risposta, indifferente e a volte apparente negativa, ad accadimenti e incontri che si sono vari che si alternano con numerose reazioni più positive … I due eventi che descrive come memorabili furono gli incontri con il Dalai Lama e la forte reazione spirituale accadutagli dopo l’incontro di Polonnaruwa, il 4 dicembre a Ceylon (oggi Sri Lanka). Egli parla dell’impressione che ebbe in quel posto con un entusiasmo tipico:

Io non so se nella mia vita ho mai provato un senso tale di bellezza e di validità spirituale sfocianti in un’unica illuminazione estetica…Voglio dire che ora so ed ho visto quello che oscuramente stavo cercando. Non so che cos’altro rimane oltre quello che ho visto ora ed ho intuito al di là della superficie ed ho penetrato al di là dell’ombra e del camuffamento. Questa è l’Asia in tutta la sua purezza… [12].

Tuttavia, mai più ritornò a riconsiderare quanto disse in questa riflessione, non abbiamo mai più sentito nessun’altra citazione di questo effetto su di lui nelle restanti settimane della sua vita.

La sua temporanea risposta sentita con fervore, con il suo linguaggio pieno di calore entusiasta, evoca il ricordo di un modo simile di esprimersi. Alcuni anni prima del suo viaggio in Asia, Merton stava dando conferenze nella sala del capitolo una domenica pomeriggio per alcuni monaci che erano interessati. Il Lunedì successivo alla conferenza, uno dei giovani monaci in uno stato di mente piuttosto agitato venne a trovarmi, dal momento che a quel tempo ero maestro dei giovani professi. Iniziò a dire che si sentiva profondamente confuso da ciò che Merton aveva detto nella conferenza del giorno precedente. P. Louis cominciando una nuova serie di conferenze, iniziava quella del giorno, più o meno, in questo modo: Dimenticate tutto quello che abbiamo detto recentemente in merito a Camus; quello è tutto stantio. Noi, ora, parleremo di Rilke. Egli è veramente un grande poeta. Naturalmente durante le conversazioni precedenti, Fr.Louis, aveva presentato Camus con un apprezzamento sincero e ardente e con una visione elogiativa come di una conoscenza familiare. Il giovane professo, mi spiegò che: sono completamente confuso. Come può P. Louis disconoscere Camus così sdegnosamente, dopo averlo presentato così autorevolmente e con affetto profondo? Io non lo capisco. Gli spiegai che quel modo di esprimersi era un’espressione del temperamento artistico di P. Louis. Bisogna imparare a non interpretare le sue parole letteralmente, ma a entrare nel suo modo di incontrare la vita. Questo a me era sempre sembrato ovvio, ma non sono del tutto certo che il giovane intelligente e fervente, ma piuttosto privo di immaginazione, fosse rassicurato sulla affidabilità di Merton come insegnante

Il giovane monaco non era la sola persona incapace di ‘leggere’ correttamente Merton. Molti autori intelligenti ed esperti, che avevano studiato gli scritti di Merton a lungo e scritto libri su di lui, fecero significativi errori di giudizio nel valutare l’importante questione della sua relazione con il suo Abate. Uno scambio di lettere tra Merton e Dom James[13] ci fornisce una visione più lungimirante ed equilibrata della realtà. Il 20 ottobre 1968 [14] [Thomas Merton scriveva da Calcutta, n.d.t.], Merton rispose a una amichevole lettera di Dom James, il quale stava vivendo in un eremo situato nella proprietà del monastero a poche miglia dalla principale ubicazione dell’Abbazia.  Come precedente superiore di Merton, gli aveva più volte rifiutato il permesso di viaggiare allo scrittore più largamente famoso. In questa lettera amichevole, tra le altre cose, egli precisò che augurava ogni successo in quel viaggio asiatico. Inoltre desiderava che Merton conoscesse che non disapprovava quel viaggio.

Nella risposta – che risultò essere l’ultima del loro scambio epistolare in questo mondo – Merton rassicurò l’abate in ritiro di avere sempre avuto un amichevole rispetto per la  sua persona e gli disse che apprezzava molto il fatto che nel suo ruolo di abate seguiva la sua coscienza nelle decisioni che prendeva. Il tono di questa corrispondenza finale è uniformemente amichevole da entrambe le parti. Questo reciproco e amichevole rispetto fu mantenuto durante i venti anni dell’abbaziato di Dom James, mentre da parte di Merton venne parzialmente sommerso in alcuni periodi di stress.

Stavo aspettando un’occasione per ringraziarla per la sua attenta e affettuosa lettera…Certamente voglio che sappia che l’ho apprezzata, e certamente non deve sentire che abbia non compreso la situazione. Non mi sono mai risentito personalmente di alcuna sua decisione, perché sapevo che stava seguendo la sua coscienza e le regole che sembravano necessarie, quindi…Stia sicuro che non ho mai cambiato il mio rispetto per voi come Abate e affetto quale Padre. Le nostre differenti idee certamente non affliggono il nostro profondo rispetto sui punti reali della vita e della vocazione. Spero voi stiate vivendo un autunno bello e mite nel bosco[15].

(Questa citazione manca nel testo inglese che ho io)

A mio avviso, i tre incontri con il Dalai Lama rappresentano il più significativo e rilevante dei diversi incontri che Merton ebbe con le realtà asiatiche. Il Diario riporta in maniera succinta, ma con dettagli sufficienti, il contenuto delle loro discussioni tanto quanto il punto che i due convennero fraternamente stabilendo una relazione amichevole fin dal principio.

Il primo immediato risultato di questa mutua attrazione fu il fatto che il terzo incontro avvenne perché il Dala Lama spontaneamente invitò Merton a incontrarsi nuovamente dopo lo svolgimento dei due incontri regolarmente programmati. In questo incontro finale, il quale venne definito da Merton come il migliore, il Lama pose domande a Merton in merito al monachesimo occidentale, facendo emergere materie specifiche come i voti, l’ascesi, il silenzio. Discussero anche su altri argomenti come la natura della mente e la consapevolezza. Merton commenta the: Sento che siamo diventati buoni amici ed eravamo in qualche modo vicini l’uno all’altro [16].  Il Dalai Lama fu così impressionato favorevolmente dal monaco americano che lo nominò “Gesche”, l’equivalente, Merton spiegò, di un dottorato honoris causa.

Un’attenta lettura del Diario, rivela che accanto a questo spontaneo entusiasmo per le faccende asiatiche, dopo alcune settimane di incontri e scambi, Merton divenne consapevole della sua debolezza e dei suoi limiti. Egli inframezzò molte volte, lo scrivere di quei giorni, con commenti, che rivelavano il suo non sentirsi interessato a certe pratiche che erano molto usate (i Mandala non lo interessavano, eccetto qualcuno). Parlava d’idee strane in Tibet e di pratiche che lo colpivano come bizzarrie. Arrivò alla decisione provvisoria di stabilirsi in Alaska o in California[17]. Per di più espresse un apprezzamento positivo del suo monastero del Gethsemani: Non c’è problema del mio volere di ‘lasciare Gethsemani’. E’ il mio monastero e essere lontano me ha aiutato a vederlo in prospettiva e ad amarlo di più[18] .

L’8 dicembre, due giorni prima di morire, nell’ ultima lettera che scrisse, chiede a Fr. Pratick Hart[19], di salutare tutta la banda e aggiunge che ho nostalgia del Gethsemani in questa festa dell’Immacolata Concezione: Penso a voi tutti in questo giorno di Festa [Immacolata Concezione]. Anche con l’approssimarsi del Natale, ho nostalgia del Gethsemani…Tanti cari saluti a tutti. Louie[20].

(Anche questa citazione manca nel mio testo inglese)

Una tale riflessione finale da parte del nostro viaggiatore, anche solo dopo un breve tempo di assenza, ci invita ad una speculazione su cosa sarebbe stato il futuro di P. Louis se l’avesse avuto. La Provvidenza è intervenuta in un modo definitivo, ma noi siamo liberi di dare un po’ di campo alla fantasia umana. La prognosi è forse il più grande rischio della pratica medica, ma se mi si permette di indulgere con la mia fantasia, vorrei fare una prognosi che dopo poco più di un anno trascorso in Alaska, Merton non avrebbe riconosciuto di appartenere a quel luogo per sempre. Se avesse deciso di stabilirsi a Redwoods, gli sarebbero stati necessari un paio d’anni per comprendere che quello non era il luogo dove avrebbe voluto fermarsi per sempre. Avrebbe deciso di ritornare dove aveva le radici più profonde che avesse conosciuto. Avrebbe trovato la strada di ritorno all’eremo all’Abbazia del Gethsemani radici profonde che egli stesso aveva conosciuto e costruito. Avrebbe ripercorso la sua strada di ritorno all’eremo dell’Abbazia del Gethsemani. Ad ogni modo, il suo corpo, riposa ora là, vicino a quello di Dom James, al riparo, sotto un alto albero di pino.

____________________

[1] nuova edizione Gabrielli editore, Gennaio 2015.

[2] Dom John Eudes Bamberger è stato il quarto abate dell’abbazia di Genesee (Usa, Stato di New York) per circa trent’anni. Dopo il suo 75 ° compleanno nell’agosto 2001, si è dimesso, seguendo le Costituzioni dell’Ordine. Dopo l’elezione del suo successore, John Denburger, Dom John Eudes ha iniziato a vivere nell’eremo, situato nella proprietà del monastero, a un paio di chilometri dagli edifici dell’abbazia, pur continuando a insegnare e lavorare al monastero. http://www.abbotjohneudes.org/

[3] Monastery of the Holy Spirit

[4] Flavian Burns, settimo Abate del Monastero di Gethsemani dal 1968 al 1973 n.d.t

[5] T. MERTON, The Other Side of the Mountain. The End of the Journey, vol. 7 1967 – 1968, edited by Patrick Hart, Harper San Francisco, San Francisco, 1998, pag. 159.

[6] Merton ricoprì questo incarico dal 1955 al 1965 n.d.t.

[7]James Fox, sesto Abate di Gethsemani dal 1948 al 1967, dopo essere stato Priore del Monastero di Conyers in Georgia.

[8] T. MERTON, “Honorable Reader”. Reflections on My Works, edited by Robert E. Daggy, Crossroad, New York, 1989, pag. 67. [Traduzione del breve passo tratto dal testo a cura di Mario Zaninelli].

[9] T. MERTON, The School of Charity. Letters on Religious Renewal and Spiritual Direction, edited by Patrick Hart, Harvest Book, New York, 1990, pag. 17.

[10] T. MERTON, The Asian Journal, New Directions Book, New York, 1975, pag. 4.

[11] T. MERTON, The Seven Storey Mountain, A Harvest Book, New York, 1998, pag. 214.

[12] T. MERTON, The Asian Journal, cit. pag. 235-236.

[13] Dom James Fox, n.d.t.]

[14] T. Merton, The School of Charity, cit. pag. 405,

[15] Ibid., pag. 406.

[16] T. Merton, The Asian Journal, cit., pag. 125.

[17] Ibid., pag. 166.

[18] Ibid.

[19] Curatore dei Diari e degli scritti di Merton.

[20] Ibid., pag. 257.

Vedi

LA PUBBLICAZIONE

Autore: Merton Thomas

A cura di Mario Zaninelli

Editore Gabrielli Editori

EAN 9788860992468

Data gennaio 2015

Altezza 21 cm

Larghezza 14 cm

Prezzo:  € 18,00

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