Guillaume Jedrzejczak, Omelia per la 4.a Domenica di Avvento – A

Guillaume Jedrzejczak, Omelia per la 4.a Domenica di Avvento – A

Is 7, 10-14; Rm 1, 1-7; Mt 1, 18-24.

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Spesso, la nostra storia intima con Dio comincia come la storia di Giuseppe e Maria, con un dramma, un dramma di sfiducia e di dubbi, un dramma di incomprensione e di sospetti. Non si capisce più nulla di ciò che sta succedendo. Crollano le evidenze e le certezze. Rimaniamo soli davanti all’incomprensibile, come sono rimaste queste due persone, Giuseppe e Maria, l’uno di fronte all’altra, che devono ricostruire la fiducia tra loro, che devono fare un salto qualitativo nella loro relazione. Ciò che succede tra Giuseppe e Maria succede anche per noi, un giorno o l’altro. Dobbiamo ricostruire ciò che sembrava sicuro e senza problemi. Si deve fare un passo avanti, entrare nella via della fede.

E per fare questo passo avanti, per entrare nella via della fede, ci vogliono dei segni, ci sono dei segni. Giuseppe ha ricevuto un sogno, ci dice Matteo nel vangelo di oggi. Per noi, ci sono piuttosto piccoli segni nella vita quotidiana, ma anche cose che sembrano misteriose e che si illuminano quando ci ripensiamo più tardi. Ma il problema non è tanto la presenza di questi segni, perché ci sono sempre, quanto piuttosto la nostra capacità di vederli, e poi di interpretare ciò che sta succedendo.

Per questo, Giuseppe e Maria sono per noi dei maestri e degli esperti. Sanno leggere le tracce della presenza di Dio nella loro esistenza. Quando appare l’angelo a Maria, lei rimane aperta alla stupefacente notizia che le trasmette. Quando Giuseppe riceve la rivelazione dell’angelo nel sogno, egli è capace di accogliere la notizia e di cambiare idee. Giuseppe e Maria hanno questa disponibilità all’imprevisto, questa libertà di fronte a ciò che la gente potrebbe pensare o dire. Ma hanno anche l’umiltà  di accettare di non capire tutto in ciò che sta succedendo.

A noi, non mancano i segni, ma manca molto spesso, questa libertà, questa disponibilità, questa umiltà. Siamo tanto sicuri di aver ragione, di sapere ciò che è buono per noi, di sapere ciò che Dio dovrebbe fare perché le cose vadano meglio, che non vediamo più ciò che Dio ci offre, ciò che Dio sta facendo nella nostra vita. Prigionieri dei nostri desideri, dei nostri sogni, delle nostre paure o delle nostre speranze, non vediamo più ciò che il Signore ci regala, nelle piccole cose della vita.

Per questo, Giuseppe e Maria sono per noi veri maestri di vita e di felicità. Da loro possiamo imparare, anche noi, a ricevere Gesù nella nostra vita. Perché oggi ancora, il Signore cerca un cuore aperto e libero, umile e generoso, per fare la sua dimora tra gli uomini. Questa è la nostra vocazione! Non tanto di fare, di moltiplicare le azioni, ma piuttosto di essere, di esistere per Lui e in Lui. Perché il più grande bisogno del nostro tempo, non sono le cose, ma sono una presenza, una qualità di relazione, una verità di amicizia e di compassione. Certo, questo non toglie il dovere di una carità operosa e inventiva, ma sappiamo bene che le cose, anche le più belle, senza l’amore, non colmano il cuore. Tutti noi, come il piccolo bambino del presepe, abbiamo bisogno dell’amore, della bontà, dell’accoglienza degli altri. E solo chi ha un cuore grande come quello di Giuseppe e di Maria può rendere felici quelli che gli stanno intorno. Perché solo l’amore può accogliere la vita, e può dare la vita!

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