Guillaume Jedrzejczak, Omelia per il Giovedì Santo 2022 – C

Guillaume Jedrzejczak, Omelia per il Giovedì Santo 2022 – C

Es 12,1-14; 1 Cor 11,23-26; Gv 13,1-15.

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         “Questo è il mio corpo, che è per voi, fate questo in memoria di me”. Queste parole del Signore ci fanno subito pensare al sacramento dell’Eucaristia, alla celebrazione della cena del Signore. Però il brano del vangelo di Giovanni, con la lavanda dei piedi, ci aiuta a capire meglio il significato più ampio che Gesù voleva dare a queste parole. Per capire il mistero dell’Eucaristia, si deve metterla in collegamento con la lavanda dei piedi. Il suo “corpo che è per” noi nel sacramento dell’altare è anche il corpo che si abbassa e si mette al servizio degli altri, inginocchiandosi davanti ai suoi discepoli per lavare loro i piedi.

         In queste due modalità del dono di sé, il Signore cambia radicalmente la nostra visione di Dio e dei suoi comandamenti. Il Signore non chiede la nostra sottomissione o il nostro servizio. Non è un padrone ma un Padre. Ci vuole tanto bene che è pronto a dare tutto per noi, a scendere e a umiliarsi per noi. Dopo averci dato la sua Parola, ci offre il suo Corpo, prima di regalarci il suo Spirito per rinnovare la nostra vita interiore. Così Egli vuole nutrire e rendere la vita a tutto il nostro essere, attraverso tutte le sue dimensioni, cioè spirito, corpo e anima, senza abbandonare niente della nostra realtà umana.

         Però, non basta leggere la Parola, non basta comunicare ogni giorno al sacramento dell’Eucaristia, non basta pregare per chiedere la discesa dello Spirito su di noi. Nella stessa formula il Signore aggiunge difatti: “fate questo in memoria di me”. Non solo celebrare la messa o ascoltare la sua Parola, ma anche lasciarsi guidare dallo Spirito suo. Fare così significa anche mettersi al servizio dell’umanità ferita e bisognosa. Non chiudere il cuore e le mani a chi ci viene incontro. Non essere padrone ma diventare padre, anche noi, di una moltitudine di persone assetate e affamate di Dio.

         E, per fare come lui, non bisogna essere sacerdote o religioso, ma basta solo essere discepolo di Gesù. Basta lasciarsi lavare e purificare per poter anche noi perdonare e riconciliare, consolare e incoraggiare. Perché la nostra vocazione di discepolo di Gesù è diventare sempre più vicini, più simili a Colui che ci dà la sua vita. Quando riceviamo il suo Corpo, non è per un nostro compiacimento, ma anche perché possiamo diventare, in questo mondo, un piccolo segno della sua presenza e del suo amore. Egli ha bisogno di noi perché il vangelo diventi convincente e più desiderabile.

         Il Signore ci ha lasciato questa missione, una bellissima missione, cioè diventare ciò che riceviamo, come diceva Sant’Agostino. Portatori non solo della sua Parola, ma anche della sua bontà, del suo amore, della sua bellezza. La nostra vocazione è proprio di lasciar trasparire la sua luce attraverso la nostra povertà. Conosciamo i nostri limiti e le nostre debolezze, però Gesù ci ha scelti per diventare testimoni in questo mondo della sua misericordia. Per questo motivo, siamo chiamati a fare tutto questo in memoria di lui. Questo è il sacerdozio universale dei fedeli, come ricordava l’ultimo Concilio. Diventare luce e sale in questo mondo.

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