F. Botturi, «LIBERTÀ IN GABBIA?»
Francesco Botturi

F. Botturi, «LIBERTÀ IN GABBIA?»

I termini della questione

 

Lo scopo del mio intervento è quello di dire perché ci stiamo occupando di questo tema del così detto politicamente corretto e che cosa pensiamo di trovarvi di significativo.

Allora, tre punti: il fenomeno, il dispositivo, le ragioni.

 

  1.  

Il fenomeno è presto detto: ci stiamo occupando di un fenomeno così evidente da risultare ai più quasi invisibile; è un fenomeno esteso e variegato, che ha cognome e nome dichiarati, cioè: politicamente corretto. Non sono gli avversari, i dissidenti che hanno attribuito questa qualifica, ma è la qualifica che si è dato da sé questo modo di pensare, questo modo di atteggiarsi; politicamente corretto vuol dire espressamente stabilire regole sociali su ciò di cui si può parlare, su come se ne può parlare e su ciò di cui si deve tacere, su quali comportamenti tenere o evitare.

Nel testo della Lettera La libertà, il potere e il pesce rosso passiamo in rassegna alcuni temi tipici oggetto del trattamento di correzione politica: la vita, la morte, la sessualità, la famiglia, l’ecologia, l’immigrazione. Sono appunto tutti ambiti in cui si dibatte, o meglio si propone, anzi si cerca di imporre un certo codice linguistico, dei significati, dei comportamenti.

 

Il problema dunque non è l’esistenza del politicamente corretto, che appunto è ovvia, ma il suo senso, che non è scontato e non è così apparente come il fenomeno; cioè dobbiamo domandarci non tanto che cosa ci sta dietro, ma che cosa ci sta dentro. Questo gioco è evidentemente un gioco tra verità e potere a proposito delle regole della libertà sociale, non in quanto stabilite da qualche autorità legittima, ma in quanto espressione di costume, di opinione pubblica o di opinioni di parte che vogliono diventare costume di tutti attraverso un consenso indotto. Evidentemente si tratta di un fenomeno sociale, culturale e sociale che mira al controllo.

 

II.

Ora il secondo punto, il dispositivo.

Come funziona precisamente questo fenomeno? Potremmo anzitutto precisare la definizione; politicamente corretto significa correttezza a riguardo della cosa pubblica, culturale, sociale e politica, a salvaguardia – si dice – della democrazia, a salvaguardia di una visione culturale ampia, aperta, aggiornata.

Vorrei subito notare il lapsus che contiene questa formula diventata ovvia; lapsus significa dire qualcosa in cui si dice anche altro che non si vorrebbe dire.

Che cos’è questo corretto? Del corretto si ha un doppio significato: corretto, come participio sostantivato, una cosa corretta, vuol dire corrispondente a un criterio di giudizio (l’evidenza delle cose o una dimostrazione) e perciò giustificato (interloquire dicendo correct significa: sì le cose stanno proprio così come dici; la tua affermazione è giustificata); ma corretto, come aggettivo, vuol dire qualcosa che è frutto di correzione, derivato da una correzione. Ed è chiaro che un conto è dire che corretto è un comportamento che si giustifica in base a regole stabilite e condivise, un conto è riconoscere il titolo di giustificato a qualcosa perché ha ricevuto una correzione fatta da qualche centrale di opinione, da qualche agenzia di gestione del senso comune.

Oggi ci troviamo in questa ambiguità ormai permanente.

La cosa funziona come se qualcuno avesse redatto un catechismo civile fatto di regole correttive dotato di anonima autorità, affinché certi comportamenti e certi criteri siano introiettati e divengano normativi. Quello che si sta cercando di fare è un’operazione scaltra di correzione del consenso. Si corregge il consenso, affinché la correzione induca nuove regole conformi a un nuovo senso comune:

 

«Come osi non essere d’accordo? Se non sei d’accordo, correggiti! Noi ti diamo la possibilità di accordarti e quindi ti evidenziamo la necessità di correggerti. In fondo ti suggeriamo un’autocorrezione, così da assumere in proprio delle regole, che nessuno ha decise, nessuno ha legittimate, ma che i tempi rendono ragionevoli e che hanno come posta in gioco il riconoscimento sociale: se non ti adegui, dovrai sostenere il peso di un severo misconoscimento sociale».

In sintesi, quello a cui mira il politicamente corretto è di correggere il consenso attraverso la correzione del senso comune.

Dobbiamo renderci conto che ogni dialogo umano, ogni scambio, ogni interlocuzione, sia essa intersoggettiva o sociale, ha sempre delle premesse, non avviene nel vuoto, non si dialoga mai da zero, ma sempre a partire da premesse. Infatti, non si riesce a dialogare se si è troppo diversi, ma solo se si è abbastanza simili, perché solo nella misura in cui si condividono delle premesse, si riesce a dialogare; l’uso estensivo del dialogo, a prescindere da queste condizioni, cioè che si possa dialogare comunque con tutti, è un’astrazione che porta le sue conseguenze negative: si resta estranei e si acuisce il conflitto). (segue)

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Intervento di Francesco Botturi al Convegno «libertà in gabbia» tenutosi a Milano il 18 gennaio 2020.

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