F. Beltrán Llavador, Thomas Merton a 50 anni dalla sua morte

F. Beltrán Llavador, Thomas Merton a 50 anni dalla sua morte

da www.cistercium.es

Nell’anniversario 50 anni fa della morte di Thomas Merton pubblichiamo, con il permesso del sito della rivista Cistercium,  la traduzione in italiano di una testimonianza su di lui  

Thomas Merton a 50 anni dalla sua morte: integrato anche se estraneo, estraneo anche se integrato

L’8 aprile del 1950, Sabato Santo, Merton annota nel suo diario: “Tutto è in attesa della risurrezione”. La doppia condizione di un Merton senza casa mentre aveva fatto del mondo la sua tenda; il suo modo di essere allo stesso tempo pieno di speranza e pienamente consapevole delle contraddizioni della sua vita e della sua società; il fiume di parole al suo centro, parole che sgorgano e che si dirigono verso un pozzo di silenzio per ascoltare e rispondere alla Parola di Dio; il suo distacco e il suo coinvolgimento nei problemi concreti del suo tempo; i giorni vissuti come un estraneo ma sapendo di appartenere ad una comunione di tre Persone in “società perfetta”: tutto questo, alla luce della brama di una Presenza che nulla potrà mai soddisfare, tocca profonde fibre personali e commuove. “Tutto è in attesa della risurrezione”. Queste parole possono cambiare un cuore di pietra in un cuore di carne. Sono uno specchio il cui riflesso, lungi dall’essere neutro o passivo è profondamente trasformante e ci invitano ad attraversarlo “Io sono la Porta” scoprendo realtà spirituali che in altro modo rimarrebbero velate, dimenticate, nascoste tra le ombre, addormentate, ignorate.

Nel maggio 1968, durante un ritiro rivolto a donne contemplative nell’abbazia di NS di Gethsemani, Merton concluse la sua conversazione su «La realtà contemplativa e il Cristo risorto» affermando: «…realmente Cristo è risorto e ora vive in noi». Così tutto è in attesa della risurrezione e al momento presente «si tratta del fatto che Cristo realmente è e vive qui e ora in noi»[1]. Questo è intrinseco alla nostra condizione di confine. Lo attendiamo, ma già vive con noi. Lo cerchiamo, anche se ci accompagna. Forse in questi due ritiri con le badesse nel dicembre 1967 e nel maggio 1968, dove abbiamo incontrato il Merton in pienezza, nel suo dar testimonianza di maturità e condividendo la sua sapienza in modo umano e profondo, benedetto dallo Spirito di Sofia e abbordando temi nei quali, se anche inizialmente furono oggetto di esplorazione in un ambiente di apertura e di sincerità riservato solo ad alcune poche contemplative, tutti possiamo riconoscerci. Commenti come quello che segue, che fortunatamente furono trascritti e possono esser letti nel capitolo intitolato “Presenza, silenzio, comunicazione” continuano a gettar luce sull’apparente opacità delle nostre vite e ci ricordano la bellezza e la dignità inalienabile della nostra stessa esistenza. «Dio ha bisogno di riconoscere in noi la bontà divina. Questo desiderio, il desiderio di Dio di riconoscersi in noi è una verità profonda. Per questo la contemplazione dev’essere accessibile a tutti». Il fatto che la contemplazione sia per tutti costituisce, a mio parere, una chiamata ogni volta più urgente perché arriviamo ad essere persone adulte. Come antidoto contro l’alienazione contemporanea nelle sue molteplici manifestazioni, Merton ci esorta a coltivare la “responsabilità in una comunità di amore” dal momento che “la contemplazione non è un’occupazione individualista “(MC 84). E si fa eco delle parole di Cristo, “amatevi gli uni gli altri” che per lui sintetizzano la rilevanza e l’urgenza della contemplazione oggi: “Che Dio abiti proprio qui tra di noi. Non è forse questo la contemplazione, l’esperienza della vicinanza e della prossimità di Dio?” (MC 85) Vivere all’altezza di questo può convertire i contemplativi in profeti invece che in semplici sopravviventi: in creatori e artisti della danza trinitaria, visionari e attori, esploratori dell’arte spirituale della possibilità; in nomadi dell’Assoluto[2], esiliati pieni di desiderio e alla ricerca incessante di un nuovo cielo e di una nuova terra, e contemporaneamente abitanti e appartenenti al suo Corpo fin da prima della creazione del mondo (Ef 1,4)

Fernando Beltrán Llavador

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[1] Thomas  Merton,  Los  manantiales  de  la  contemplación:  Un  retiro  en  la  abadía  de  Getsemaní (Santander: Sal Terrae, 2017) 298; i riferimenti seguenti saranno citati come MC nel testo.

[2] Un’espressione di Javier Melloni, sj, in “Nómadas del Absoluto: La Vida Religiosa ante el diálogo interreligioso”. Frontera Hegian: Cuadernos de Formación Permanente para Religiosos (2012) 80. 7.

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