Fonte:
Versione riveduta e ampliata di un intervento letto alla International Medieval Conference tenuta a Leeds nei giorni 9-12 July 2001, nella sessione organizzata dalla rivista Cîteaux: Commentarii cistercienses.
Già edito su Vita Consacrata, n.2/2005, pp. 166-187
L’esercizio del tradurre è sempre stato, almeno potenzialmente, un’esperienza esaltante. Il processo con cui si trasferisce un testo da una lingua a un’altra è complesso e insieme affascinante. In effetti un “testo” non è soltanto una sequenza di parole che esprimono delle idee, ma, come implica il termine stesso, è un “tessuto”, cioè una rete in cui si intrecciano suoni, parole, frasi, clausole, paragrafi, uniti a formare una composizione più o meno strutturata dove tutto ha una funzione in ordine a produrre il significato che si intende trasmettere. Anche gli elementi non verbali, come il ritmo e l’intonazione, dovrebbero essere presi in considerazione quando si considera il significato globale di un testo. Trasportare tutto questo da una lingua a un’altra, anche supponendo che questo sia perfettamente possibile, richiede una serie di sensibilità che vanno ben oltre la capacità di afferrare idee e concetti, che, anche nel tipo di testo meno suggestivo quale un trattato, possono essere incapsulati in un linguaggio denso di immagini, per non parlare di allitterazioni, assonanze, giochi di parole, ecc. Tale complessità spiega perché nel medioevo il traduttore si pensava come ‘autore’ e si comportava di conseguenza, talmente era consapevole di quanta creatività fosse implicata nel processo traduttivo. Questo spiega anche perché il tradurre è sempre stato un’esperienza non solo esaltante, ma anche frustrante.
Quanto andrò esponendo in questo articolo nasce primariamente dal mio lavoro di traduttore dei quattro trattati ascetici di Aelredo di Rievaulx, e di altri testi medievali, poetici e non, in particolare i Sermoni diversi di Bernardo di Chiaravalle (e ora anche i Sermoni per l’Anno liturgico) oltre alle Rivelazioni di Giuliana di Norwich. Confrontando la mia percezione di quello che si sarebbe dovuto fare con scelte operate da altri traduttori, ho trovato che in alcuni casi si tende a tradurre l’idea lasciandosi alle spalle l’immagine nel quale l’idea è incorporata, per non parlare della struttura del testo, che è spesso semplicemente trascurata. Rimango convinto invece che nel tradurre si dovrebbero rispettare: la classe cui appartiene la parola dell’originale (un nome non è un verbo, e ancor meno un aggettivo), l’ordine del paragrafo (la principale non può diventare una subordinata, e viceversa), e che in ogni caso bisognerebbe cercare con tutte le forze di preservare immagini, assonanze musicali e ritmi tutte le volte che questo è fattibile.
Vorrei dare qui un esempio di cosa si trova implicato in una traduzione usando un campione molto semplice tratto dallo Specchio della carità (2,67) di Aelredo di Rievaulx, un passo caustico dove il “vano piacere delle orecchie” in cui si crogiola un monaco che canta in modo frivolo e vanesio, viene spietatamente denunciato. Il passo dovrebbe essere letto per intero, ma mi limito a citare una sola frase, in cui Aelredo sembra travolto dal suo stesso gioco, imitando esattamente l’oggetto della sua satira! Scrive: Nunc vox stringitur, nunc frangitur, nunc impingitur, nunc diffusiori sonitu dilatatur. Il piacere delle orecchie è garantito, anche per chi non capisce il latino. Cosa può fare un traduttore con questo splendido ritmo tutto lanciato in avanti, ottenuto combinando rime, allitterazioni e clausole anaforiche? Ecco quattro traduzioni, una in inglese, una in francese e due in italiano:
- At one moment the voice strains, the next it wanes. First it speeds up, then it slows down with all manner of sounds (E. Connor, p. 210)
- La voix tantôt s’étrangle et tantôt se brise, tantôt elle éclate et tantôt elle s’amplifie en larges sonorités (Ch. Dumont – G. de Briey, p. 170)
- La voce ora si raccoglie, ora si interrompe, ora fa un acuto, ora si allarga in un suono diffuso (Gasparotto, p. 217)
- Ora la voce si stringe, ora si frange, ora si spinge ed esplode, ora si allarga in suoni più estesi (D. Pezzini, p. 240)
Ogni traduzione cerca di trattenere qualcosa dell’originale: rime e assonanze (strains/wanes, sounds; stringe/spinge, frange), ripetizioni (tantôt, ora), che in un caso sono risolte in un contrasto (up/down); il ritmo è più o meno fluido, e questo in parte dipende dalla possibilità offerte dalle diverse lingue. La somiglianza tra latino e italiano permette soluzioni che sono più difficili da ottenere in altre lingue, e per quanto mi riguarda ho cercato di sfruttare al massimo in termini di suoni e ritmo questa possibilità. (segue)