C. Gentili, La comunicazione nel postmoderno

C. Gentili, La comunicazione nel postmoderno

Articolo pubblicato sulla rivista Servire 2018/1, pag. 4-7, Rivista Scout per educatori

 

PREMESSA

La rivoluzione digitale ha cambiato in meglio il nostro mondo, aprendo uno straordinario ventaglio di possibilità per accrescere la qualità della vita e la comunicazione tra le persone. Al tempo stesso la tanto decantata “democrazia digitale” si situa appena un passo prima della dittatura dei creduloni. Serve un antidoto. Se Internet ha dato ai complottisti e ai bugiardi un mezzo straordinario, spetta a noi non gettare via con l’acqua sporca delle fake news il bambino della rivoluzione tecnologica. Spetta a noi cambiare in meglio la rete.

Il cambiamento dei mezzi di comunicazione ha influito profondamente sulle relazioni fra le persone. Siamo di fronte ad una svolta antropologica che riguarda da vicino le nostre vite e le vite dei ragazzi con cui facciamo lavoro educativo.

Questo articolo vuole offrire alcuni scenari di natura sociologica ed economica per capire meglio il mondo in cui viviamo. Il conflitto sociale si sta progressivamente spostando dal rapporto capitale-lavoro al rapporto tra flussi (di informazioni, di merci, di documenti, di persone) e territori.

GALASSIA GUTEMBERG

La rivoluzione informazionale ha origini antiche. Giova rileggere il celebre pamphlet scritto nel 1962 da Marshall McLuhan (La galassia Gutemberg, ed. Armando, 2011). L’innovazione tecnologica introdotta nel quindicesimo secolo dallo stampatore di Norimberga ha creato l’individualismo moderno. Ha permesso a molti di acquistare libri, divenuti merce a buon prezzo. I libri sono stati lo strumento per la diffusione della libertà di opinione e la messa in discussione di ogni dogmatismo e di ogni autoritarismo, a partire da quello ecclesiastico. Dalla scoperta della stampa, le rivoluzioni tecnologiche si susseguono accompagnando i processi di emancipazione e trasformando il paesaggio della comunicazione. La rivoluzione Gutemberg, con la nascita dell’uomo tipografico, è stata una rivoluzione meccanica. Da quando l’uomo ha esteso il suo sistema nervoso centrale mediante la tecnologia elettrica (da cui sono derivati il telegrafo, il telefono, la radio, la TV, il PC), il campo di battaglia – nella guerra come negli affari – è diventato il processo di creazione di informazioni e di immagini. Fino a qualche decennio fa l’industria più lucrosa era quella dell’estrazione del petrolio. Oggi è quella di chi, da Google a Facebook, estrae informazione. 

IL POSTMODERNO

Le tecnologie amplificano sia le possibilità di progresso sia i pericoli di regressione. Le bufale sono sempre esistite e la menzogna è un ingrediente largamente diffuso nella politica e nella vita. Con una differenza di non poco conto. Una volta milioni di persone aderivano a verità ideologiche (spesso menzognere) credute in modo fideistico. Oggi milioni di persone sono convinte di aver ragione non più insieme (come le chiese ideologiche del secolo scorso) ma da sole, ciascuna con la sua verità, a cui la rete offre un illusorio senso di democrazia. Fake news e postverità rimandano al tema del postmoderno.

Il postmoderno, muove i primi passi in arte e in architettura negli anni Trenta del ‘900, è sostanzialmente decostruzione, critica corrosiva delle ideologie, è insomma il de prufundis delle grandi narrazioni della modernità (illuminismo, idealismo, marxismo) e dei suoi sogni emancipatori. Ma la sua nascita nel dibattito filosofico è comunemente identificata con il 1979, quando esce il libro di Jean-Francois Lyotard dal titolo “La condizione postmoderna”. L’uomo postmoderno vive nel presente senza orizzonti, domina l’incertezza su verità e realtà. Non trova più un senso nella storia, decostruisce, smaschera, si abbandona ai giochi linguistici. Nasce il pensiero debole. Un pensiero non razionale, non scientifico, ma estetico, ermeneutico. Un pensiero soft. Naturalmente, il postmoderno non è il diavolo. Dopo gli anni dell’autoritarismo, della verità ideologica e del conseguente pensiero totalitario, col postmoderno, a partire dal “vietato vietare” del ’68, esplode la soggettività, si rinuncia all’abuso della ragione e a ogni forma di assolutismo. Per comprendere meglio la questione in ballo, si deve partire dalla domanda di Pilato “Quid est veritas?”. Richard Rorty, filosofo statunitense, risponde: “La verità divide, la solidarietà unisce. Basta con le verità assolute a cui tutti devono obbedire. Queste verità assolutizzate fanno fare le guerre e creano i totalitarismi”.

Altro tratto del postmoderno è l’ironia. Per capire che significa postmoderno basta guardare in TV Crozza. Il postmoderno è… Crozza. Cosa fa Crozza? Prima de-costruisce chi sta al governo, che si chiami Renzi, Letta, Berlusconi, poi tocca al Presidente della Repubblica, alla sinistra più radicale, a Landini, alla Camusso, a Di Battista. Insomma, de-costruisce e si prende gioco di tutti. Ma quale idea si nasconde dietro a tutta questa ironia? Ridicolizzare la verità per dire che non ne esiste una.

POSTMODERNO E DOCUMEDIALITÀ

Come il moderno è stato analogico, il postmoderno coincide con l’era digitale. Il filosofo torinese Maurizio Ferraris (M.Ferraris, La postverità e altri enigmi, ed. il Mulino, 2017) sostiene che il postmoderno è il risultato di un processo che ha attraversato varie fasi. Innanzitutto la scoperta che spesso si chiama “verità” una falsità ideologica, o che la “verità” è una finzione moralistica o uno strumento di dominio. La verità non è più uno strumento universale di regolazione morale e sociale (ipse dixit). Sorge un nuovo principio di autorità: il “vietato vietare”, il “tutto è permesso”, ogni desiderio diventa un diritto.

La postverità è conseguenza dell’inflazione mediatica del postmoderno o, per dirla con gli specialisti, della prevalenza della epistemologia sull’ontologia, del comunicare sull’essere. Pensiero umano e evoluzione tecnologica hanno un rapporto molto stretto: Socrate è uomo dell’oralità, Aristotele è filosofo dell’età della scrittura, Cartesio navigava sulla rivoluzione meccanica, Heidegger fa il surf cavalcando l’onda elettronica. Al centro c’è il linguaggio, tutto è comunicazione, tutto è gioco linguistico.

La postverità non è che la popolarizzazione del principio di Nietszche per cui “non ci sono fatti ma solo interpretazioni”. La postverità è un oggetto sociale che si manifesta nel web (come erede dell’opinione pubblica), è l’essenza della nostra epoca (come il capitalismo lo fu per la fine Ottocento primo Novecento, come i media lo sono stati per il Novecento).

Nei due ultimi secoli nelle nostre società tecnologicamente avanzate si sono succedute tre forme di organizzazione tecnica e sociale: la prima che aveva al centro il conflitto tra il capitale e il lavoro (definitivamente tramontata con il crollo del muro di Berlino); la seconda, inaugurata negli anni sessanta dalla Galassia Gutemberg, di McLuhan, la Medialità (l’era dei mass media); e infine la documedialità, l’era di internet e del Web.

Fino a qualche decennio fa, erano le “sette sorelle”, le multinazionali petrolifere a dominare e influenzare il mercato mondiale, oggi è chi si occupa di web, reti, informazioni: le famose OTT (Over The Top): Google, Amazon, Facebook, Apple, più le cinesi Alibaba e Tencent, che valgono in borsa 4 mila miliardi di dollari. In sei pesano come tutte le società quotate nell’area euro. Google e Facebook, da sole controllano il 75% del mercato pubblicitario in rete del mondo. Con le nuove tecnologie gli algoritmi di Google e Facebook, insieme all’intelligenza artificiale, creano valore con le informazioni, i dati estratti a miliardi di utilizzatori.

Che li forniscono tutti i giorni a tutte le ore, attraverso una mobilitazione volontaria e non retribuita, con una immane produzione gratuita di messaggi veri, postveri, irrilevanti. Oggi telefoniamo, chattiamo, lavoriamo anche di notte o nelle festività utilizzando gli smartphone o i tablet. Alla base del mercato mondiale della comunicazione non c’è più solo il sostentamento, ma il desiderio di riconoscimento di tanti individui isolati o piccole tribù, portatori ciascuno della propria verità.

Non si tratta di un aspetto esclusivamente negativo. Jacques Derida a tale proposito cita un esempio illuminante: le confessioni di Sant’Agostino. Agostino si pone una domanda elementare, quasi comica: perché mi confesso a Dio che sa tutto? Che senso ha raccontare la propria vita a un onnisciente? Agostino risponde di voler fare la verità non solo nel suo cuore ma anche per iscritto di fronte a molti testimoni. Intende forse che la verità si fabbrica come si fabbrica la post-verità? Certo che no. Agostino vuol dire che la verità non è solo un possesso interiore, è anche una testimonianza che si rende in pubblico. Ha un valore sociale. Ecco, come la postverità è l’inflazione mediatica (e populista) del postmoderno anche a noi è data la possibilità di conciliare il desiderio di testimoniare agli altri la nostra vita (con un tweet, una foto o un video postati sui nostri profili social) con la ricerca della verità e la capacità di distinguere le fake news dai messaggi autentici. Non è la tecnologia che determina l’autenticità della comunicazione, ma la nostra capacità di usare bene i mezzi tecnologici. I social network possono allo stesso tempo favorire le relazioni e promuovere il benessere ma anche diffondere menzogne e dividere le persone. Il web è una piazza, dove si può ascoltare o offendere, sostenere o linciare.

FLUSSI E TERRITORI

Le intuizioni di Maurizio Ferraris, trovano una conferma nella ricerca di un sociologo Aldo Bonomi, che da tempo sostiene che è venuta meno la fabbrica come luogo rappresentativo della dialettica tra capitale e lavoro (A. Bonomi, Sotto la pelle dello Stato, ed. Feltrinelli, 2010) sostituita nella sua valenza simbolica e ideologica dal rapporto/scontro fra territori (locali) e flussi finanziari, di merci, persone e informazioni (globali). La fabbrica viene ridimensionata nella sua valenza simbolica e ideologica. I conflitti sociali più macroscopici nascono proprio nel rapporto tra i territori e i flussi di immigrati o nel rapporto tra i territori (pensiamo alla Val di Susa) e i flussi dell’alta velocità, o ancora tra i territori e le campagne contro le trivelle o ancora tra territori e flussi di rifiuti (la terra dei fuochi). Ed è sempre nei territori che riemerge la voglia di comunità che può assumere forme molto differenti: la comunità del rancore che nasce contro lo spaesamento da modernizzazione accelerata, la comunità di cura (volontariato, privato-sociale, professionisti del welfare) che perseguono il legame sociale come fine della propria azione, la comunità operosa nella quale ritroviamo i soggetti economici (imprese, banche, associazioni di rappresentanza delle imprese) che riconoscono nel legame sociale un elemento non accessorio della competitività. 

FINANZA E DIGITAL ECONOMY

Nell’economia globalizzata, il settore delle comunicazioni in rete e dei social network rappresenta uno dei settori più importanti. Con la grande rivoluzione dell’elettronica e delle telecomunicazioni sono crollati tempi e costi di spostamento delle merci senza peso (immagini, suoni, dati). La prima merce senza peso che ne ha tratto vantaggio e’ stata la moneta (sempre più virtuale e elettronica e sempre meno cartacea o metallica) fino ad arrivare ai Bitcoin. I mercati finanziari si muovono a velocità sempre maggiore. Trent’anni fa mediamente si deteneva un titolo azionario per quattro anni. Oggi le azioni vengono scambiate in secondi! Più del 60 per cento degli scambi finanziari e’ gestito da software automatici che comprano e vendono migliaia di volte al giorno sulla base di complessi algoritmi. Tutto questo rende i mercati finanziari volatili e reattivi alle informazioni. Nell’agosto del 2015 la notizia di un calo di un punto percentuale dell’aspettativa di crescita cinese ha prodotto in due giorni una parallela diminuzione degli indici di Wall Street superiore a quello causato dal fallimento di Lehman Brothers all’apice della crisi finanziaria del 2007. I mercati finanziari non hanno pietà, né freni morali. Un loro uso distorto può dare risultati molto negativi: non si limitano a prosciugare le casse di alcuni investitori, ma hanno un effetto domino, fanno crescere disoccupazione e povertà, provocano nuove forme di schiavitù. L’essere umano rischia di essere ridotto a semplice ingranaggio di un meccanismo che lo tratta come un bene di consumo, da usare e poi scartare. I mercati finanziari con la loro potenza sempre più difficilmente controllabile sembrano un genio uscito dalla lampada. Dalla capacità di controllare e veicolare queste enormi energie in direzioni utili per il bene comune (tassa sulle transazioni finanziarie) dipenderà larga parte del nostro futuro. I modelli economici devono rispettare un’etica di sviluppo sostenibile, come ci ricorda il Capitolo IV della enciclica di Papa Francesco “Evangelii Gaudium”. Ma non possiamo demonizzare in assoluto il mondo della finanza. L’etimologia dell’espressione finanza nasce dal latino finis. Grazie alla finanza (che è un mezzo) si possono raggiungere dei fini. Senza finanza non c’è impresa. Ed esistono la finanza etica e la capacità di discernimento per evitare che un mezzo divenga un fine assoluto. 

UN’INTERPRETAZIONE PROFETICA

È innegabile che l’economia digitale porti con se straordinari effetti positivi per l’umanità. Se correttamente incanalata, potrà risolvere molti problemi del mondo. Telemedicina, big data, Internet of things hanno il potere di far evolvere positivamente le condizioni dell’umanità. Senza dimenticare i makers che attraverso l’uso della stampanti 3D stanno rivoluzionando il mondo industriale riportando l’artigianato nelle città. A questa visione si riallaccia l’approccio sapienziale che propone Papa Francesco, il primo papa “postmoderno”, nel Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali (13 maggio 2018), che viene approfondito nell’articolo di Padre Davide Brasca, per scoprire, nel tempo della post-verità, il senso autentico della verità che ci fa liberi (Gv, 8, 32).

Claudio Gentili

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