C. Cannizzaro, Dal Concilio Vaticano II alla morale filiale: sviluppo di un paradigma

C. Cannizzaro, Dal Concilio Vaticano II alla morale filiale: sviluppo di un paradigma

I cristiani hanno il dovere di annunciare il vangelo senza escludere nessuno, non come chi impone un nuovo obbligo, bensì come chi condivide una gioia, segnala un orizzonte bello, offre un banchetto desiderabile. La Chiesa non cresce per proselitismo, ma «per attrazione».

(Francesco, Evangelii gaudium, 14)

A cinquant’anni dal Vaticano II non mancano le sintesi sui percorsi della teologia morale. In questo contesto celebrativo intendiamo esporre un preciso paradigma teologico-morale sviluppatosi dopo il concilio di cui ha recepito le istanze: la morale di tipo filiale.

Dopo aver reso ragione della nostra scelta per l’impostazione filiale in generale (1), esporremo con più precisione le caratteristiche dell’antropologia filiale (3) premettendo alcune note imprescindibili sulla cristologia filiale che la precede e la fonda (2). Questo percorso consentirà di tracciare le principali caratteristiche della morale filiale (4).

1 Sguardo d’insieme

Le ragioni a favore della teologia filiale sono molteplici, prima fra tutte la sua architettura di fondo, basata sull’intrinseca e ordinata connessione tra cristologia, antropologia e morale. Ne richiamiamo alcune altre, sapendo che la loro esatta comprensione si potrà avere soltanto entrando nel vivo del modello stesso.

1. Il comune denominatore di moltissima parte dei laceranti dibattiti in corso nella nostra società occidentale, dalla bioetica, all’economia, alla politica, è esattamente ciò che va sotto il nome di questione antropologica. Oggi – se non quantitativamente più che in passato, di certo con uno spessore qualitativo

inedito – emerge con sempre più chiarezza l’interrogativo fondamentale: chi è l’uomo? Davanti a tale domanda primigenia e insopprimibile si sviluppano diverse risposte variamente articolate, che si collocano ora nel campo della filosofia, ora nel campo delle diverse scienze umane, ora nel campo della stessa teologia.

2. La preferenza per il versante teologico dell’antropologia è espressa con ineguagliabile chiarezza dal Vaticano II:

In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce [vere clarescit] il mistero dell’uomo. […] Cristo, che è il nuovo/ultimo Adamo [novissimus Adam], proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione (GS 22).

È così consegnata ai credenti e a tutti gli uomini di buona volontà una chiave metodologica che dischiude tre fondamentali implicazioni.

a) Tra il Cristo e l’uomo in quanto tale esiste un vincolo essenziale e ineliminabile, che va ben compreso, ma che non può più essere negato, sminuito o semplicemente ignorato.

b) Il legame è orientato dal Cristo verso l’uomo e non viceversa: il mistero che l’uomo è diviene comprensibile a partire dal mistero che è il Cristo in quanto quest’ultimo ingloba, permea e fa esistere il primo; l’uomo quindi a partire da Cristo, e non Cristo a partire dall’uomo.

c) La realtà dell’uomo può e deve essere guardata dalle diverse angolature delle scienze umane, che come luci più o meno potenti illuminano ora un particolare del volto dell’uomo, ora un altro. Tuttavia solo il mistero pasquale di Cristo permetterà di scrutarlo in tutti i suoi aspetti, vere clarescit, eliminando le ombre ingannevoli.

3. La declinazione filiale dell’antropologia ci sembra quella che maggiormente coglie gli aspetti essenziali della questione. Essa, infatti, a monte, poggia su solidissime radici biblico-teologiche, che affondano nel mistero di Cristo in quanto Figlio Unigenito e nel mistero dell’uomo in quanto figlio adottivo; al cuore riesce a rendere ragione del complesso rapporto tra divinum e humanum, esaltando la loro irriducibile indeducibilità reciproca e contemporaneamente suggerendo la modalità precisa del loro incontro effettivo nel mistero della persona del Figlio fatto uomo e, in analogia, nel mistero dell’uomo reso figlio; a valle pone delle implicazioni morali ben precise. … (segue)

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I termini della questione

 

Lo scopo del mio intervento è quello di dire perché ci stiamo occupando di questo tema del così detto politicamente corretto e che cosa pensiamo di trovarvi di significativo.