IV DOMENICA DOPO PENTECOSTE – B

Venite, adoriamo:
prostriamoci a colui che ci ha creato
perché è nostro Signore e nostro Dio.

LETTURA
La condanna di Sòdoma e Gomorra.
Gen 18, 17-21; 19, 1. 12-13. 15. 23-29
SALMO RESPONSORIALE
Sal 32 (33)
EPISTOLA
Gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio.
1Cor 6, 9-12
CANTO AL VANGELO
(Mt 7, 21)
VANGELO
Il banchetto delle nozze del figlio del re.
Mt 22, 1-14
PREGHIERA DEI FEDELI
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COMMENTO AL VANGELO

IPPOLITO DI ROMA
In Daniel. 3, 21-24

L’esempio di Daniele

Pertanto, “quando Daniele venne a conoscenza dello scritto”, accortosi che si trattava di un complotto contro di lui, tuttavia non ebbe paura, non si spaventò, perché era pronto ad andare in pasto alle fiere piuttosto che sottomettersi al decreto del re. Egli si ricordava dell’esempio che gli avevano dato i tre fanciulli. Poiché non avevano voluto prostrarsi davanti alla statua del re, essi erano stati salvati dalla fornace ardente. Rientrato a casa sua, aprì le finestre “del piano superiore, in direzione di Gerusalemme, e tre volte al giorno si inginocchiava e pregava continuando a far penitenza, come faceva prima.

Bisogna contemplare la pietà del beato Daniele. Benché sembrasse molto occupato dagli affari del re, nondimeno si applicava alla preghiera quotidiana, rendendo “a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio” (Mt 22,21). Forse mi si potrà dire: E che? Egli non poteva, di giorno, pregare Dio nel profondo del cuore, e, di notte, raccogliersi nascostamente in casa sua, come voleva, senza correre pericolo? Sì. Ma lui non voleva. Se infatti avesse agito così, i ministri e i satrapi avrebbero potuto dire: Che vale il suo timor di Dio, dal momento che ha paura dell’editto del re e si sottomette ai suoi ordini? Ed erano pronti a portare contro di lui un motivo di accusa: il rimprovero di infedeltà. Questo lo fa l’ipocrisia: non così il timore e la fede in Dio. E fu perché non diede ai suoi avversari pretesto alla maldicenza: “Perché chiunque è sottomesso a un uomo, è suo schiavo” (2Pt 2,19).

In effetti, coloro che credono in Dio non sanno che farsene della dissimulazione, e non devono temere coloro che sono costituiti in autorità, se non commettono il male. Ma se vengono costretti, a causa della loro fede in Dio, ad agire diversamente, preferiscono morire spontaneamente piuttosto che fare ciò che è loro ordinato. E quando l’Apostolo dice che bisogna sottomettersi ad ogni “autorità costituita” (Rm 13,1), non allude a questo caso. Egli non domanda che rinneghiamo la nostra fede, né i comandamenti divini per eseguire gli ordini degli uomini, ma al contrario che, per deferenza verso l’autorità, non commettiamo alcun delitto, in modo da non essere castigati come malfattori. Ecco perché aggiunge: L’autorità è al servizio di Dio, contro coloro che fanno il male. “Vuoi non aver da temere l’autorità? Fa’ il bene e ne riceverai lode. Ma se fai il male, allora temi, perché non invano essa porta la spada” (1Pt 2,14 1Pt 2,20). Dunque l’Apostolo raccomanda, in tal modo, di sottomettersi a una esistenza santa e pia in questo mondo, e di avere davanti agli occhi il pericolo della spada. Anche gli apostoli, nonostante l’opposizione dei principi e degli scribi, continuavano tuttavia a predicare la parola e a obbedire a Dio piuttosto che agli uomini (Atti 4,18-20). Ecco perché i principi si infuriarono contro di loro e li chiusero in prigione. “Ma durante la notte un angelo li condusse fuori e disse: Andate e predicate queste parole di vita (Atti 5,19 Atti 5,20).

Nemmeno lui, Daniele, nonostante il divieto di pregare, si sottomise all’editto del re, non volendo mettere la gloria di Dio al di sotto di quella degli uomini. Infatti quando si muore per Dio, ci si può rallegrare di aver ottenuto così la vita eterna. E quando si soffre per Dio e si vive quaggiù nella purezza e nel timore, non bisogna dare il minimo pretesto di accusa a coloro che lo cercano, perché così essi saranno ancor più coperti di confusione.

Così i ministri cercavano contro Daniele un pretesto e non ne trovavano, perché egli era fedele. E se alcuni ci obbligassero a non adorare Dio e a non pregare, minacciandoci di morte, sarebbe più dolce per noi morire piuttosto che eseguire i loro ordini. “Chi”, infatti, “ci separerà dall’amore di Dio? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, il pericolo, la spada? (Rm 8,35). Ecco perché il beato Daniele, che aveva preferito il timor di Dio e si era offerto alla morte, fu salvato dai leoni grazie all’angelo. Se egli avesse tenuto conto dell’editto, se fosse rimasto tranquillo per trenta giorni, la sua fede in Dio non avrebbe più avuto la sua purezza. “Nessuno può servire a due padroni” (Mt 6,24). Sempre l’arte del diavolo s’ingegna di perseguitare, opprimere, abbattere i santi per impedire loro di levare, nelle loro orazioni, “le mani sante” (1Tm 2,8) verso Dio. Egli infatti sa bene che la preghiera dei santi dà al mondo la pace e ai malvagi il castigo. Allo stesso modo, “quando”, nel deserto, “Mosè alzava le mani, Israele era più forte, ma quando le lasciava cadere, era più forte Amalek” (Es 17,11). È quanto ancor oggi ci capita: quando cessiamo di pregare, l’Avversario ha la meglio su noi, e quando ci aggrappiamo alla preghiera, la forza e la potenza del Maligno restano senza effetto.

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ed egli mi ha ascoltato.
Ho gridato dal fondo dell’abisso e tu, o Dio,
hai udito la mia voce.
So che tu sei un Dio clemente,
paziente e misericordioso,
e perdoni nostri peccati.
Gn 2, 3; 4, 2

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