6 dicembre: Giornata monastica a Citeaux per il nuovo Abate

6 dicembre: Giornata monastica a Citeaux per il nuovo Abate

 

Omelia del 6 dicembre 2021

Pierre André Burton

“Per la gioia del tuo cuore”

Festa in occasione dell’elezione abbaziale a Cîteaux (15 settembre 2021)

Alla presenza di monaci e monache OCSO/OCIST/OSB, religiosi e religiose della diocesi di Digione

Qualche settimana fa, nell’ambito di un incontro letterario, abbiamo accolto nella foresteria del nostro monastero Christiane Rancé, lontana discendente di Henri le Bouthillier de Rancé, fratello minore del più noto Armand-Jean, abate riformatore della Grande-Trappe. Poco dopo il suo breve soggiorno a Cîteaux, in una rubrica del giornale “La croix” che forse avete letto, ha ripreso la domanda che le era venuta in mente durante il suo viaggio di ritorno: nel mondo tormentato che è il nostro, si è chiesta: “di quale santo avremmo bisogno oggi?”.

Una settimana dopo, abbiamo ricevuto il nostro vescovo, Mons. Minnerath, per una celebrazione festiva, simile a quella di oggi. Nella sua omelia in questo giorno in cui abbiamo ricordato San Begnin, martire e patrono della diocesi di Digione, ci ha ricordato che la Chiesa, fondata sulla pietra angolare di Cristo, si è perpetuata nel tempo solo attraverso testimoni, appunto i martiri, il cui sangue, secondo la bella espressione di Tertulliano, “è il seme dei cristiani”. Ma ha aggiunto che questa testimonianza assume anche forme diverse a seconda dei tempi, perché, ha precisato, è proprio ad ogni generazione di cristiani che appartiene la missione di dare testimonianza al Risorto, secondo le circostanze storiche proprie di ogni “momento” della storia. Così: il martirio del sangue, nell’antichità cristiana; la testimonianza di una riforma monastica iniziata qui nel XII secolo con Roberto, Alberico e Stefano, poi, dopo di loro, con San Bernardo. Sulla scia di questa osservazione, il nostro arcivescovo ci ha poi posto la seguente domanda: “Oggi, qual è il nostro “momento”? E quale dovrebbe essere la nostra testimonianza a Cristo, secondo questo “momento”?

Nel preparare l’omelia di oggi, queste due domande, quella di Christiane Rancé e quella del nostro arcivescovo, si sono intrecciate: perché, in effetti, non sono, alla fine, una stessa domanda? E poi, la prima forma di santità nella Chiesa non è stata, e non sarà sempre, quella del martire, che, per Cristo, in Cristo e con Cristo, va fino in fondo al dono, il dono del suo sangue, il dono della sua vita?

Quindi poniamo di nuovo la domanda. Quale forma di santità assumerà la testimonianza che daremo a Cristo? Quale sarà, per noi monaci e monache, per noi religiosi, questo “fino alla fine del dono” con cui, seguendo Cristo, lo testimonieremo ai nostri contemporanei?

Inoltre, possiamo riformulare queste domande con le parole della prima lettura di oggi. Quale “acqua” siamo chiamati a far scorrere nei multiformi deserti del nostro mondo? Quale torrente dovremmo lasciar scorrere nella terra secca e arida che è il cuore di tanti nostri contemporanei? Quali sono questi “luoghi di orrore e di vasta solitudine”, queste terre popolate da bestie selvatiche, che dobbiamo sgomberare affinché, seguendo l’esempio dei nostri fondatori, che vennero a vivere in “boschi e boschetti di spine” (PE. III), facciamo a nostra volta “una strada che sarà chiamata via sacra”, una strada dove i nostri contemporanei potranno correre sui sentieri della salvezza?

Per rispondere a queste domande, permettetemi di riprendere in prestito da Christiane Rancé le parole che ha usato nella breve cronaca della sua recente visita a Cîteaux. Ha scritto

Fin dalla soglia di questa abbazia, ho sentito quello che avevo già sentito quando ho scoperto (…) l’abbazia cistercense di Fontfroide (…). La gioia, uno slancio dell’anima così spontaneo che diventa una professione di fede, uno sguardo così abbagliato che diventa gratitudine.

E ha continuato:

Cîteaux è il laboratorio della visione del mondo di San Bernardo, un’arte che egli dispiegherà a Clairvaux, dove il silenzio e la luce, lavorati come materiali, rifletteranno le immagini intatte della perfezione divina.

E ha aggiunto:

Era commovente pensare che circa nove secoli fa, proprio qui, Bernardo di Chiaravalle aveva elaborato una dottrina del rapporto tra arte e salvezza, in cui l’abnegazione e l’ascesi sono esaltate, e tutta una teologia immersa nella devozione alla dolcezza di Maria.

In queste poche parole, si dice tutto sulla grazia di Cîteaux! Di quella grazia di cui siamo gli eredi! Se, dunque, nell’antichità cristiana, il martirio per eccellenza era quello del sangue; se, d’altra parte, durante il Medioevo centrale, quando nacque la riforma cistercense, la testimonianza per eccellenza fu quella del martirio bianco di una carità che imparò, grazie alla scuola di Cîteaux, ad ordinarsi bene, in questo XXI secolo, già ben avviato In questo secolo, forse pieno di ricchezze materiali, ma inaridito dalla tristezza, il martirio a cui siamo chiamati non sarebbe, come Papa Francesco ci invita a fare di volta in volta, in mille e mille modi, il “martirio della gioia”? Quell’ “impulso dell’anima così spontaneo”, ci ha detto Christiane Rancé, “che diventa una professione di fede; uno sguardo così abbagliato che diventa gratitudine”?

Sì: non è questo che i nostri monasteri sono chiamati a fare? Diventare, più profondamente che laboratori di ecologia integrale, per quanto importante possa essere, grembi materni dove, trasfigurati da una vita di abnegazione e “gioiosa penitenza”, il “troppo umano in noi stessi”, il “più umano di noi stessi”, plasmato dal silenzio e dalla luce, come materiali che si lavorano, diventano per i nostri contemporanei, troppo spesso sazi, un puro riflesso della “perfezione divina”, voglio dire: un luogo da cui traspare la “gioia del Vangelo”? Ora chi contesterebbe oggi che dare una tale testimonianza della “gioia del Vangelo” sia un autentico martirio? Non solo come “contenuto”: è questa testimonianza che dobbiamo dare al nostro mondo che vive senza speranza; ma soprattutto come “modalità”: per dare questa testimonianza, quante resistenze non dobbiamo combattere, che sono ostacoli alla gioia! La tristezza imperante, la sfiducia dilagante, per non dire il sospetto e persino il sospetto generalizzato che così facilmente ci spinge a vedere negli altri una potenziale minaccia; un mondo che non crede più nella possibilità del perdono, né in quella della redenzione, e che, di conseguenza, ci priva di contemplare (è quello che canteremo alla comunione) “la gioia che ci viene dal nostro Dio”: Vide iucunditatem quae veniet tibi a Deo tuo!

Sì, la nostra stessa santità, la testimonianza della carità e il servizio che dobbiamo rendere al mondo, non sarebbe per essere sempre più “gioiosi nella speranza”, “gioiosi nella speranza che Cristo ci dà di sapere che siamo già amati e salvati da Dio? Non è questa la buona notizia che Gesù ci ha rivolto nel Vangelo di oggi: “Ebbene, affinché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere di perdonare i peccati, io vi comando”, disse all’uomo paralizzato, “alzati, prendi la tua barella e va’ a casa!

Amen

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